Sono tornate al Comunale di Modena, ad aprire la stagione lirica, Le Maschere di Mascagni. Kemp ne ha proposto una regia brillante nei movimenti scenici, sia dei protagonisti che del coro, all'insegna di colori accesi e dipinti favolistici. Il cast vocale era equilibrato, con qualche incertezza sparpagliata in uguale misura tra tutti i cantanti impegnati. Arpea si è impegnato a rendere frizzante la lunga partitura: il coro ha retto, l'orchestra no, mostrando cedimenti nell'intonazione e nell'equilibrio delle classi strumentali. Posti vuoti in platea e nei palchi. Tanti appausi.

100 anni dopo la prima italiana, diretta da Toscanini, Euryanthe inaugura la stagione del Teatro Lirico di Cagliari, con un sontuoso allestimento di Pier Luigi Pizzi.

Maria Stuarda di Donizetti ha aperto la stagione 2002 del Teatro Valli di Reggio Emilia. Regia sufficientemente funzionale in un'impostazione scenica statica che, alla lunga, risultava monotona. Bene Carmela Remigio nel ruolo di Maria, e Sonia Ganassi in quello di Elisabetta, nonostante una indisposizione annunciata ad apertura di serata. Coro e orchestra adeguati sotto la guida di Carminati. Applausi per tutti.

Recuperato, per l'apertura della stagione 2002 del Regio di Parma, il Marin Faliero di Donizetti. Preceduto di qualche giorno da una conferenza di studio attorno a quest'opera, il nuovo allestimento ha dimostrato tutto l'interesse per questo dramma musicale dimenticato, rivelandone, a mio avviso, anche caratteristiche inaspettate (ruolo di Elena). Molto bene i quattro protagonisti, Pertusi, Devia, Servile e Blake. Efficace la direzione musicale di Datone, adeguati senza eccellere coro e orchestra. Interessante la regia di Daniele Abbado.

Successo per la prima rappresentazione a Bari dell'opera di Niccolò Piccinni "Didon" suo capolavoro del periodo francese (1783).

Dopo troppi anni di assenza a Bologna, ritorna per poche recite un "Barbiere" di gran classe

Grande successo per "L'Olimpiade" di Cimarosa, allestimento scenico e regia eleganti, con un cast assolutamente all'altezza delle difficoltà poste dalla partitura. Il pubblico ha accolto lo spettacolo con ovazioni.

L'assenza di Domingo stravolge l'"Otello" di Vredi alla Scala. Buona la prova di Barbara Frittoli e dell'orchestra.

L'ultimo lavoro di Bellini è stato rappresentato con successo a Trieste, soprattutto grazie alla bravura di un'Elvira splendidamente interpretata dal soprano spagnolo Mariola Cantarero.

Accoglienza tiepida al Teatro Massimo Bellini di Catania per "La Battaglia di Legnano" di Giuseppe Verdi, opera giovanile pressoché dimenticata. Attenta la direzione di Nello Santi. Apprezzabile la presenza vocale e scenica di Elisabete Matos, affiancata da Cesar Hernandez e Giorgio Cebrian. Deludente la regia di Walter Pagliaro.

Un allestimento frettoloso, approssimativo e superficiale del capolavoro mozartiano, che porta un materiale (cantanti, direttore, orchestra) complessivamente decoroso fino al limite della decenza.

serata conclusiva del festival di Nuova Consonanza; in sala compositori, esponenti del mondo accademico e critici; buon successo di pubblico e ottima prova di musicisti e cantanti

Un Ballo in maschera non si può risolvere con la routine, ma è pur sempre Verdi e il pubblico è soddisfatto: che abbia ragione ad accontentarsi di quel che passa il convento?

Realizzata all'interno del Festival "Corpi del suono", la performance dell'opera di poesia e musica "Tiresia", autori il compositore Agostino Di Scipio e il poeta Giuliano Mesa, ha sottolineato l'innovativo proposta di esperienza (plurima, aperta) dello spettacolo portata avanti in questa iniziativa, dando conto dell'approfondito lavoro comune degli autori sul ritmo e aprendo una finestra critica e calata nella tragica realtà dell'oggi sulla figura del veggente cieco, inascoltato perché vede e dice ciò che l'uomo non vuole vedere e dire.

inserite qui il testo in breve

Grande compattezza drammaturgica per il Rigoletto di Vick, accolto da fischi e applausi in egual misura. Piuttosto deludente la compagnia di canto, mal sostenuta dalla direzione di Carignani.

La Khovantchina ha brillato a Parigi per il cast. Anche lfiorchestra sotto la bacchetta di James Conlon ha sfoderato molta grinta. Qualche ombra invece sulla regia previdibilissima di Andrei Serban.

Simon Rattle dirige un Parsifal intimo e ricco di sfumature, ma il suo approccio consciamente antitradizionalista frustra gli appassionati wagneriani.

"Morte a Venezia" in chiave di neoclassicismo novecentesco: il bello spettacolo di Pier Luigi Pizzi per l'ultima opera di Benjamin Britten (1973) rinnova al Comunale di Firenze il successo ottenuto due anni fa a Genova, appoggiandosi alla concertazione di Bruno Bartoletti ed al nutritissimo cast capeggiato da Jerry Hadley nel ruolo di Gustav von Aschenbach

Libretto velleitario e confuso e musica poco teatrale: anche questa volta Consuelo non passa l'esame. Sarebbe invece interessante riporporre la musica strumentale di Rendano

Insuccesso per il Rigoletto andato in scena al Malibran, complici tutte le componenti dello spettacolo: regia scenografia, cast, direzione orchestrale.

The Rake's Progress ritorna dopo quarant'anni sul palcoscenico dell'English National Opera, in una produzione fin troppo contemporanea che su uno sfondo di dissolutezza sessuale rischia di snaturare il carattere di favola morale del lavoro profondamente classico di Stravinsky

GENOVA. In una Gaza distrutta dalla guerra, fra rottami di auto, marmitte e portiere, si consuma, al carlo Felice nello spettacolo inaugurale della stagione, la storia di Sansone e Dalila. L'opera di Saint-Saens, presentata in edizione originale con i sovratitoli in italiano, è stata diretta con buona verve da Michel Plasson, Discutibili le scelte registiche di Hugo de Ana che ha puntato su una visione postmoderna dello spettacolo. Il pubblico si è diviso, anche se hanno probabilmente prevalso gli applausi. Ottima il cast vocale dominato da Clifton Forbis, Sansone, e Dolora Zajick, Dalila.

L'Amour de loin de Kaija Saariaho et Amin Maalouf, mis en scène par Peter Sellars, créé à Salzburg en août 2000, en coproduction avec le Théâtre du Châtelet. Nouvelle production dans ce même théâtre en novembre 2001.

Spettacolo senza dubbio 'originale' sostenuto dalla presenza scenica di Milva e dalle capacità attoriali di Riondino. Meno convincente l'impianto musicale di Tutino a cui pare mancare una vera direzione ed un'impronta a caratterizzare musicalmente la vicenda.

Gatti sul podio e regia di Pizzi per il nuovo allestimento verdiano: tra i mattoni delle perfierie inglesi tardottocentesche vince il tono della melanconia del grande vecchio in una lettura "sombre" che trova un eccellente Pertusi al debutto del ruolo protagonista.

Jérome Savary rilegge Carmen: ma il suo talento teatrale, irriverente e colorato, questa volta si perde in un colossale pastiche, dove l'unica idea (Carmen androgina che ama una lesbica Micaela) avremmo voluta vederla in una vera regia di una vera Carmen

Teatro nel teatro, metateatro, teatro di maschere come pretesto di una decisa virata antinaturalista in ancor piena anzi pienissima stagione "verista", in un profluvio di citazioni, autocitazioni e omaggi che arieggia già al Neoclassico e a tante altre cose importanti del Novecento... di fronte a "Le maschere" di Pietro Mascagni, di cui il Cel (Comitato Estate Livornese) - Teatro di Livorno per il cartellone di Città Lirica (la stagione d'opera Lucca-Pisa-Livorno) ha realizzato alla Gran Guardia una pregevole ed azzeccata 'edizione del centenario', è difficile esimersi dal tirare in ballo una gloriosa lista di titoli, dall'"Arianna a Nasso" a "Pulcinella" all'"Amore delle tre melarance" (con segno diverso alla stessa "Turandot"), e, quanto al teatro parlato, con tutt'altra intenzione e temperie, persino al denudamento pirandelliano della maschera. L'origine dell'idea sarà magari altra e più modesta, un goldonismo bonario e manierato di marca ottocentesca, le pubblicazioni degli antichi scenari della Commedia dell'Arte nell'ambito della cultura positivista... ma è un fatto che ancora una volta, com'era successo poco prima con "Iris", Mascagni, alla ricerca di qualcosa di diverso dal modulo verista di "Cavalleria" che gli aveva dato il successo, volge all'intorno con prontezza le antenne del suo genio vivace e scriteriato. Confeziona così un'opera in cui i Personaggi non sono Sei ma nove, Pantalone, Rosaura, Florindo, Graziano, Colombina, Arlecchino, Capitan Spavento, Brighella e Tartaglia, più l'impresario Giocadio della cornice metateatrale iniziale. Anche se certe soluzioni drammaturgiche e musicali sono affini (dalla presenza di ruoli parlati, qui l'impresario della Parabasi iniziale, alla drastica riduzione settecentista dell'orchestra), nessuno vorrà certo sostenere che i risultati siano paragonabili ai titoli che si sono fatti sopra; e tuttavia, a riascoltarla, l'opera, dominata da poche ma azzeccate invenzioni musicali, ha una sua stramba seduzione di cui forse è persino difficile dar conto. Il tipico melos naturalista è contenuto in una fraseologia breve e quadrata (diciamo pure neoclassica o almeno ciò che Mascagni sembra intendere per tale) adattabile agli amabili strambottini di cui è costituito il libretto dell'espertissimo Luigi Illica (lo stesso che con "Iris" aveva precocemente intuito e suggerito a Mascagni un teatro, più che di esotismo, di idee e simboli), in una petizione di leggerezza che sembra quanto di più distante dal temperamento di Mascagni; ma il tutto si sostanzia di un affetto vero per il mondo delle maschere, per le vecchissime trame padri burberi-figli innamorati che risalgono nientemeno che alla Commedia Nuova ateniese, per il Settecento italiano di Paisiello e Cimarosa (intuibili in palinsensto nel brio dei violini, nel trattamento comico degli strumentini). Un affetto, un sogno tinto dei colori della commedia ma che spesso diventa curiosamente malinconico, fino al coro finale in lode delle maschere italiane, inappropriatamente ma anche seducentemente struggente. È stata, quella di Livorno, una buona edizione. La concertazione non proprio rifinita ma scorrevole e funzionale di Bruno Aprea si appoggiava su un'orchestra e coro di più che accettabile efficienza e su un copioso cast omogeneo e molto ben preparato, con il veterano Graziano Polidori come Pantalone e in cui spiccavano per simpatia e musicalità il Tartaglia di Giorgio Caoduro, per momenti di canto aggraziato il Florindo di Maurizio Comencini e la Rosaura di Raffaella Angeletti, per fisicità l'Arlecchino di Alessandro Cosentino. Ma ciò che contava era l'effetto Lindsay Kemp: l'artista inglese firmava scene, costumi e regia, una regia di lazzi stilizzatissimi contrapposti a immobilità da belle statuine e generalmente ritmata sulla musica (cosa che dopo decenni di ponnellismo potrebbe anche dare uggia ma che per queste "Maschere" ci è sembrato che andasse benissimo), una scena che è un omaggio all'estetica teatrale illusionista dei praticabili e dei fondali dipinti, ma straordinariamente nobilitata dalle splendide pitture sceniche di Mark Baldwin (un corteggio di maschere-animali un po' alla Chagall, una Venezia in verde e rosa volutamente di maniera, una scena pulcinellesca che invece arieggia a Goya e Daumier). Effetto Lindsay Kemp, ossia ci si ritrovava ad applaudire come bambini cose come il tableau fermÈ, con i Pulcinella rossi ballerini in primo piano in un'orgia di colori netti illuminati a giorno, alla fine della Furlana del secondo atto, e queste "Maschere" si rivelavano capaci di sollevare nella roccaforte mascagnana della Gran Guardia un'ondata di piacere teatrale su cui forse, all'inizio della serata, non tutti avrebbero scommesso.