A Colonia l’Orlando di Händel tratta dall’Ariosto e l’Orlando di Virginia Woolf si fondono nel singolare allestimento firmato da Rafael Villalobos con Xavier Sabata protagonista 

classica

La riproposta del genere del "pasticcio", tipico della concezione operistica settecentesca, è vanificata dalla modestissma realizzazione musicale e scenica.

L'inusuale accoppiamento di Rachmaninov e Puccini si dimostra vincente, con un cast eccellente nella splendida produzione di Annabel Arden e sotto la sanguigna direzione di Vladimir Jurowski.

Capriccio va in scena a Palais Garnier con una travolgente Renée Fleming. Robert Carsen fa leva su una confusione tra realtà e finzione evidente in quest'opera, riflessione sul mondo dello spettacolo. Un evento anche per la partenza di Hugues Gall, "patron" dell'Opéra national di Parigi.

A Ravenna Riccardo Muti rende omaggio al suo maestro, Vincenzo Vitale, con la Filarmonica della Scala e il pianista Paolo Restani. Serata calda e affettuosa nel nome di un grande didatta della nostra epoca che lascia in eredità un modello di intendere la musica.

I recital di Maurizio Pollini, come si è ascoltato a Ravenna, sono lezioni di storia della musica, ma impartite da un musicista che parla con il pianoforte e sa dire tutto, se non di più. Il di più sono la necessità e la verità delle sue interpretazioni, che colpiscono come una rivelazione morale.

Un garbato e composto rigore settecentesco ha caratterizzato questo spettacolo. Certo, la forte connotazione storica della comicità di Paisiello, sia nella musica che nelle parole, propone un impianto melodrammatico a volte eccessivamente ingessato e una scrittura fin troppo calibrata e contenuta negli schemi formali. Ma la bella disinvoltura del cast, insieme all'allestimento, fresco e dinamico, hanno saputo rivitalizzare questa partitura.

Una Piazza del Popolo stracolma di pubblico accoglie "Die Zauberflöte" in una deludente messa in scena. Svetta su tutti Claudio Bisio.

E' ricco di scene ad effetto, drammaturgicamente molto efficaci, il " Ballo in maschera" di Verdi in scena da ieri sera al Teatro Regio di Torino in un allestimento, coprodotto con il Bellini di Catania e il Maggio Musicale Fiorentino, con la regia di Lorenzo Mariani, le scene di Maurizio Balò, i costumi di Maurizio Millenotti e le luci (molto belle) di Christian Pinaud. Niente settecento lezioso e in crinolina ma il "duro" bianco e nero da film degli Anni Trenta.

La Staatsoper di Vienna propone una "Daphne" in un nuovo allestimento che convince per la scelta del cast ma che annoia per la sua regia.

Con "La bohème", dopo quasi quarant'anni con la lirica torna all'Arena Flegrea: con le sue bianche pareti di travertino e le sue torri metafisiche, certo la più bella delle architetture sorte all'interno della Mostra d'Oltremare. Proposta come spettacolo popolare, questt'allestimento pur seguendo una linea piuttosto tradizionale, non ha niente di plateale, ed anzi si presenta con un suo garbato decoro.

Heineken Jammin' Festival è nato nel 1998, e l'ha battezzato il più rock e smodato dei cantautori italiani, Vasco Rossi. Ora è un festival gigantesco, piazzato nella comunque suggestiva e comunque bene attrezzata realtà dell'autodromo di Imola, una tre giorni in cui sul palco si sono alternati lo scorso week-end tra gli altri Fatboy Slim, Massive Attack, The Cure, Ben Harper, Pixies, PJ Harvey, Lenny Kravitz, Articolo 31 e Caparezza.

Nelle tre ore luminosamente perfette, gestualmente sacrali firmate da Robert Wilson non vediamo un complicato e "politically boaring" collage di Oriente e Occidente, ma siamo di fronte ad un vero magistrale riuscito rito spirituale "mondiale", che traduce sulla scena, un perché siamo nati alla vita accoppiati, facendo bambini nella rabbia e nella gioia, nel sublime abbraccio e nell'ira sanguinaria.

Impianto registico tradizionale, senza particolari idee forti, con grandi affollamenti nel primo atto. Energica direzione di Oren con un'ottima prova della Cedolins e di una buona compagnia di canto.

Una drammaturgia del non-dicibile, dell'assenza, fatta di implosioni abbaglianti, contraddistingue il "Macbeth" di Salvatore Sciarrino, "tre atti senza nome" in prima italiana a Roma grazie ad una realizzazione di ottima qualità (sia interpretativamente, sia scenicamente).

"Der Rattenfänger" di Friedrich Cerha nel nuovo allestimento dell'Opera di Darmstadt e delle Festwochen Wien convince soprattutto per coerenza drammatica, con slanci che rendono sempre stimolante la rappresentazione, nonostante le sue tre ore abbondanti di durata.

È probabilmente una delle partiture operistiche più ardue del Settecento. Il virtuosismo richiesto all'orchestra de "Les Boréades" è notevole, e l'innegabile influsso musicale italiano esige che anche i cantanti - cosa eccezionale per una tragédie lyrique - dispongano di una padronanza del canto di bravura paragonabile a quella di un virtuoso händeliano. Non è da escludere che proprio le difficoltà esecutive siano state la causa della mancata esecuzione dell'opera nel 1763 (al di là dell'ipotesi di un intrigo). Fatto sta che l'esecuzione da parte dell'orchestra "La scintilla" dell'opera di Zurigo non ha certo brillato per esattezza. Se da una parte è vero che i corni naturali sono sempre un terno al lotto per le orchestre barocche (ed infatti l'ouverture dell'opera è stata piuttosto compromessa da cornisti in difficoltà), d'altra parte, a giudicare dalla spesso imbarazzante 'performance' di flauti, ottavino e oboi, si aveva quasi l'impressione che il numero di prove non fosse stato sufficiente.
Peccato, perché l'infuocata direzione di Marc Minkowski, favorendo i contrasti dinamici e il movimento anche nei momenti più estatici dell'opera, necessitava di uno strumentario ineccepibile. Più fortunato è stato in questo senso sul fronte vocale. Richard Croft ha padroneggato l'ardua tessitura acuta del ruolo di Abaris con bravura e raffinatezza interpretativa (da notare soprattutto i suoi pianissimo), mentre Annick Massis, all'inizio un po' incerta, ha dato vita ad una Alphise di struggente lirismo. Bravi anche gli interpreti degli ardui ruoli di contorno, con una menzione particolare per il Calisis di Tom Allen e per la breve, ma stupefacente apparizione del giovane basso François Lis nel ruolo di Borée.
La regia di Laurent Pelly ha cercato di evitare una simbologia troppo carica ed ha ambientato il tutto in una dimensione astratta, strutturando con fantasia lo spazio scenico grazie ad una serie di pareti poste su pedane girevoli concentriche che si muovevano in diverse direzioni. Efficaci le coreografie di Lionel Hoche e davvero bravi i giovanissimi ballerini dello Junior Ballett.

Il Ravenna Festival ha aperto la propria quindicesima edizione affidandosi alla costellazione musicale di Philip Glass, un caleidoscopio di suoni e di timbri che hanno rappresentato l'idea di "musica del mondo" del compositore di Baltimora. Soddisfatto il pubblico.

Un allestimento che non riesce né innovativo né illustrativo, con una compagnia di canto volenterosa ma non troppo elegante, e un direttore più intento a smorzare che a sostenere.

Il Maggio Musicale Fiorentino rende omaggio a Dallapiccola nel centenario della nascita con il dittico "Volo di Notte" e "Il Prigioniero": l'accostamento dei due atti unici rende conto di un percorso compositivo sofferto e personale verso la modernità. Sul podio Bruno Bartoletti, regia di Daniele Abbado, nel cast spicca soprattutto Rosalind Plowright, ottimo successo.

Secondo e ultimo allestimento operistico del Festival Verdi 2004, "Il corsaro" del Regio di Parma ha presentato uno spettacolo piacevole, riuscendo a sottolineare l'interesse per un Verdi "minore".

L'allestimento della Neuköllner Oper di Berlino rinuncia del tutto a interpreti femminili, rivisitando la partitura mozartiana alla ricerca del senso dell'amore.

Come già successo più volte in conclusione della stagione dell'Orchestra della Toscana, Ort e Orchestra Giovanile Italiana hanno mescolato i propri ranghi per Mahler: una Sesta portata al miglior successo dalla direzione salda e serrata di Roberto Abbado

Trionfale ritorno di Claudio Abbado a Berlino, con l'orchestra di cui è stato per dodici anni direttore musicale. Una serata di emozioni indimenticabili, vissute dal pubblico e dai musicisti con commossa partecipazione, a confronto con le visioni siderali di Frank Martin e con le tragiche epifanie di Gustav Mahler.

Dialogo teatrale con 9 canti, Banjaminovo, su un debole testo di Franco Marcoaldi, convince la musica di Vacchi, ben diretta da Fabio Maestri alla testa di un quintetto d'archi del S. Carlo di Napoli.

Madama Butterfly al Gran Teatro all'aperto di Torre del Lago a cento anni dalla prima a Brescia con Placido Domingo sul podio

La messinscena proposta questa sera, ha completamente ignorato la sostanza della "romantiche oper" di von Weber/Kind. La musica nel frattempo fluiva proponendo la sua "scenografia sonora" (indubbiamente dissonante con quella realizzata sul palco, da ascoltare ad occhi chiusi) efficacissima grazie anche agli interpreti.

La prima esecuzione austriaca della Berenice di Staud non convince del tutto, ma lascia intravedere interessanti temi per lo sviluppo futuro del lavoro del giovane compositore austriaco.

Molto successo per l'Idomeneo del Maggio Musicale Fiorentino, con il pubblico conquistato dalla visualità elegante ed astratta dello spettacolo firmato da Graham Vick e dalla conduzione musicale vibrante e seducente di Ivor Bolton. Spicca per intensità ed eleganza Monica Bacelli, Idamante; più affaticato Bruce Ford nel disbrigare le agilità del ruolo del titolo.

L'elegante Arabella di Karita Mattila seduce il pubblico londinese con un'interpretazione delicatamente calibrata.

Una produzione incantata apre la stagione dei settant'anni di
Glyndebourne, ma lo spettacolo non va al di la' del letterale.