Martha Argerich è fedele all'impegno preso e arriva alla XXV edizione del Festival pianistico della Roque d'Anthéron. regala un concero fiume in compagnia dei giovanissimi Renaud (violino) e Gauthier (vioncello) Capuçon. Manco a dirlo: è un trionfo.
Recensione
classica
Festival Internazionale di Pianoforte di La Roque d'Anthéron La Roque d'Anthéron
29 Luglio 2005
"Verrà o non verrà?". La domanda pare d'obbligo alla vigilia di ogni concerto pubblico di Martha Argerich. Ma i miracoli esistono e alla fine si materializza nel parco del Château Florans, cuore del Festival della Roque d'Anthéron. Qui, nella cittadina della Provenza francese a pochi chilometri da Aix, è di fatto una habituée. Viene dal 1982, ovvero dalla seconda edizione del festival che è ormai arrivato al suo venticinquesimo anno d'attività. E, nato quasi per caso grazie a René Martin e a Paul Onoratini, il festival si è imposto come un appuntamento da non perdere, tanto da meritarsi il titolo di "Mecca del pianoforte". E il pellegrinaggio obbligato vale tanto per gli appassionati (lo scorso anno erano più di settantamila) quanto per gli artisti.
Martha Argerich non solo è venuta, ma si è ritrovata a fare la padrona di casa di una lunghissima serata (dalle 20 a quasi l'una del mattino) dedicata al ricordo del suo amico e maestro Frederich Gulda, scomparso cinque anni fa. Di Gulda, è stato eseguito il Concerto per violoncello e insieme di ottoni che ha permesso al pubblico di apprezzare il giovane talento di Gautier Capuçon.
Ma certo gli occhi (e le orecchie) erano essenzialmente puntate sulla Argerich. E quando l'artista argentina si siede al pianoforte la differenza si sente: se ne è avuto una prova, dapprima, con il Primo concerto di Prokovief e, in fine serata, con il Triplo concerto di Beethoven (occasione per ritrovare sia Gautier Capuçon sia il fratello Renaud). La pianista riesce perfino a far dimenticare il modesto Orchestre symphonique de Flandre, diretto dal gesto pasticciato ed inefficace di Alexander Rabinovitch-Barakovsky. I movimenti della Argerich sono sempre compassati, quasi ridotti al nulla, in una parola: felini. Eppure, il risultato sonoro è eccelso: la tastiera diventa sotto le sue grinfie un'orchestra tanto per la potenza quanto per la chiarezza delle varie linee polifoniche. Prokovief ci ha soprattutto ricordato le sue doti tecniche al limiti del prodigio (anche se la saggezza dell'esperienza è oggi predominante), Beethoven la sua immensa musicalità. I fratelli Capuçon in stato di grazia hanno attorniato, per nulla intimoriti, la Argerich.
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