Al ROF Isabella è una drag queen
La trovata di Rosetta Cucchi aggiunge follia alla follia dell' Italiana in Algeri.
16 agosto 2025 • 4 minuti di lettura

Pesaro, Teatro Rossini
L’Italiana in Algeri
12/08/2025 - 21/08/2025Siamo ad Algeri, non ai primi dell’Ottocento ma in anni recenti (alcuni personaggi ancora indossano tunica e turbante, per lasciare un pizzico di colore arabo all’ambientazione) e Mustafà è il capo della polizia. Non è un paese propriamente democratico e infatti i trans non sono accettati e cinque di loro vengono presi in una retata e portati in guardina. Però… però… alcuni poliziotti si chiudono in cella con loro e si immagina facilmente a qual fine. Per non parlare del loro capo, che non è molto sensibile al fascino femminile - infatti il libretto dice chiaramente che si è stufato della moglie e la regia aggiunge che respinge ripetutamente le insistenti avances di alcune odalische in versione moderna - ma perde subito la testa per la più vistosa di queste cinque drag queen, che altri non è che la protagonista dell ’Italiana in Algeri , che si fa chiamare Isabella ma chiaramente è un nome d’arte. E al fascino di questa Isabella non sfuggono, come da copione, neanche Lindoro e Taddeo.
C’era proprio bisogno di una Isabella drag queen? Certamente Gioachino Rossini e il suo librettista Angelo Anelli non ci avevano pensato – e se ci avessero pensato non avrebbero mai potuto portare in scena dei trans – ma la bizzarra idea della regista Rosetta Cucchi non tradisce lo spirito di questo dramma giocoso. Il plot viene sostanzialmente rispettato e queste cinque scatenate drag queen con i loro abiti sgargianti creati dalla fantasia della costumista Claudia Pernigotti e i loro trucchi esagerati aggiungono un pizzico di follia in più ad una vicenda che è un ininterrotto fuoco d’artificio di situazioni improbabili, sconclusionate, esilaranti. Il loro compito è far ridere, quindi è comprensibile che vengano rappresentate in modo estremamente caricaturale e non avrebbe senso obiettare che questo sia politicamente scorretto, perché siamo in un’opera buffa e anche gli altri personaggi sono messi in ridicolo.
Ci sono però due pericoli in agguato. Da una parte una Isabella trans potrebbe non bastare a mantenere viva la comicità per tutta la durata dell’opera, ma lo spettacolo è un fuoco di fila di trovate divertenti e mantiene un ritmo scatenato dall’inizio alla fine, grazie anche alla recitazione di cantanti, coro e comparse, sempre vivacissima e curata in ogni minimo dettaglio. L’altro pericolo è che tutto diventi eccessivo, eccessiva la recitazione caricaturale delle drag queen ed eccessiva la confusione in palcoscenico: si sta sempre al limite e secondo alcuni il confine viene superato più volte, secondo altri no. Certo è che i momenti seri e riflessivi di quest’opera - “Cruda sorte”, “Pensa alla patria” - ne soffrono non poco.
La protagonista è una rossiniana di categoria super quale Daniela Barcellona, che dopo aver interpretato tanti personaggi maschili affidati alla voce di contralto - Tancredi, Malcolm, Arsace e altri ancora - questa volta è impegnata in un travestimento ancora più intricato, una donna che finge di essere un uomo che finge di essere una donna. E ci riesce benissimo, rivelando capacità attoriali sopraffine e una vis comica irresistibile, che non sospettavamo. E ha ribadito la sua altissima classe di cantante rossiniana, non incrinata da alcune note che non hanno più la pienezza d’un tempo.
Dei tre uomini innamorati di lei - anzi di lui - è Lindoro ad avere alla fine la meglio, ma proprio lui è il più pallido, perché è un personaggio troppo serio per inserirsi nel folle meccanismo scenico e perché il tenore canadese Josh Lovell ha un timbro limpido e luminoso ma qualche limite sia tecnico sia d’estensione nel registro acuto. Quanto a Mustafà, viene alla fine beffato ma ha almeno la soddisfazione di essere interpretato in modo eccellente da Giorgi Manoshvili, che generalmente interpreta personaggi “seri” ma si rivela adattissimo a questo Bey d’Algeri, che è ridicolo proprio perché pretenderebbe di apparire serio e autorevole. Appena due mesi Misha Kiria era stato un irresistibile nella parte di Taddeo a Roma ma ora, per adeguarsi alla regia, propone questo stesso personaggio in modo totalmente diverso e forse meno riuscito: comunque ha confermato le sue notevoli doti di cantante e d’attore. Haly era Gurgen Bayan: da incorniciare la sua aria “Le femmine d’Italia”. Completavano adeguatamente la compagnia Vittoriana De Amicis (Elvira) e Andrea Niño (Zulma).
Dirigeva Dmitry Korchak. Esiste un Korchak tenore rossiniano (lo si è ascoltato varie volte al ROF, dove canterà anche nei prossimi giorni), un Korchak tenore wagneriano (lo si potrà ascoltare nel Lohengrin che a novembre inaugurerà la stagione dell’Opera di Roma) e infine un terzo Korchak, che sta tentando la via del direttore d’orchestra. Difficile riuscire a far bene tante cose diverse e infatti come direttore d’orchestra Korchak è alquanto deludente. Con l’orchestra proprio non si trova a suo agio: le dinamiche si attestano su un forte quasi perpetuo, senza sfumature, e molti gustosi dettagli dell’orchestrazione rossiniana vanno perduti. In genere non offre stimoli e idee all’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, che abbiamo sentito suonare molto meglio in altre occasioni. Il Coro del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno - il cui maestro è Pasqualino Veleno - è ormai un pilastro del festival e i suoi elementi (in quest’opera è impegnata la sola sezione maschile) cantano e recitano benissimo.
Le risate durante lo spettacolo e gli applausi alla fine hanno dimostrato che gli spettatori si sono divertiti, con qualche eccezione.