La versione cameristica dell'opera per la prima volta in forma scenica in Austria: è questa la possibilità per un gruppo di giovani cantanti di raccogliere i frutti del loro lavoro, svolto da qualche anno nelle piccole scene della capitale austriaca, e mostrare al pubblico la raggiunta maturità. Peccato che la regia, banale e di poca sostanza, non abbia saputo ricreare la dinamica tra sogno e suspence continuamente presente nella partitura.

Chi dal debutto di Prêtre sul podio del Concerto di Capodanno dei Wiener Philharmoniker si aspettava una lettura "francese" dei celebri walzer di Strauß, Lanner e co., sarà rimasto forse deluso. L'interpretazione, invece, completamente immersa nel mondo viennese, con il tipico tre quarti trascinato e un peculiare contrapporsi di ductus marziale e gesto sinuoso, ha convinto per la raffinata ricerca timbrica e scelte di programma con molte rarità.

Con l'Orlando paladino, Harnoncourt e Warner portano sulla scena una rarità del repertorio operistico. La condotta musicale è nel segno della sensualità e della differenziazione. La regia è congeniale, e trasporta le follie e i mondi immaginari dell'Ariosto in una suggestiva dimensione viennese, ambientando il tutto tra il Prater (Luna park locale) e le teorie psicoanalitiche di Sigmund Freud. Ottimo il cast vocale.

Gran successo per la prima produzione della stagione Volksoper e per l'esordio alla programmazione del nuovo direttore Meyer. L'Orfeo in cartellone esalta una comicità senza tempo atraverso un'attualizzazione registica e una riscrittura del testo che hanno trascinato il pubblico in un divertimento quasi fanciullesco. Bravo il cast, misto di cantanti e attori, e in forma l'orchestra, che Ludwig ha trascinato in una convincente e avvincente prova.

L'ultimo nuovo allestimento della stagione della Staatsoper di Vienna è un Boris Godunow inedito, costruito combinando due versioni dell'opera. È una produzione di ampio respiro, a volte monotona, a causa di una regia statica e poco differenziata. Il Boris di Furlanetto è costruito più sul belcanto più che sulla drammaticità. Ottimi alcuni degli interpreti secondari.

Boulez e Chéreau tornano a lavorare assieme a 30 anni di distanza dal leggendario Ring di Bayreuth. Lo fanno con un'opera ostica e di rara esecuzione, ma mostrando come precisione e varietà siano le chiavi per avvincere. Immenso successo di critica e pubblico.

Un allestimento di efficace spettacolarità e ricco di spunti critici riesce a dilettare il pubblico anche se l'opera in questione è una rarità del repertorio. Il segreto di questo successo sembrerebbe celato dietro al divertito entusiasmo del cast, che ha saputo lasciarsi coinvolgere fino in fondo dal complesso e più che attuale mondo musicale e morale di Weill.

Questo allestimento si sostiene sul principio della compensazione: da una parte, una regia ridotta all'osso; dall'altra, una partitura mostrata nella sua essenza caleidoscopica. Il risultato è efficace, come se il teatro degli affetti traslocasse da tipiche ambientazioni eccessive verso il tavolo di un sezionatore alla ricerca delle dinamiche dell'immobilità.

La breve opera prima di Cattaneo e Sanguineti aveva già ricevuto una calorosa ricezione da parte di pubblico e critica in occasione della prima esecuzione assoluta alla Biennale di Monaco dello scorso anno. Nella ripresa dell'allestimento a Vienna la composizione si è nuovamente rivelata come originale commistione di musica e poesia e come intelligente tentativo di riflessione sulle possibilità del teatro musicale.

La Netrebko e una prestazione esemplare dell'orchestra portano al successo un allestimento che altrimenti sarebbe risultato noioso e pieno di contraddizioni. Tuttavia sorgono alcune domande legittime e spontanee legate alle sorti di questa nuova produzione. Cosa succederà quando la Staatsoper introdurrà in repertorio la Manon senza la Netrebko?

Il nuovo Freischütz della Volksoper di Vienna non va a segno, nonostante i buoni propositi che da tempo il team artistico cerca di presentare al pubblico. La regia ammicca al presente, ma non fa mai il passo decisivo e rimane impantanata in immagini stereotipe di un mondo anacronistico non universale. L'orchestra avrebbe necessitato di un numero superiore di prove. Ai cantanti principali, invece, è mancata potenza drammatica e vocale.

La Kammeroper di Vienna porta in scena una rarità del giovane Händel, puntando su una regia dinamica e intelligente, un cast giovane e l'esperienza del direttore Bernhard Klebel. Gli intrighi di Agrippina vengono rappresentati come in una soap opera, a suon di colpi di scena ed esagerazioni. Il concetto registico di Pawlik si rivela più che riuscito: attualizzante ma non provocatorio, divertente e mai superficiale.