Il ritorno di Linda
Successo per l'opera di Donizetti, che mancava a Roma da oltre un secolo
Recensione
classica
La Linda di Chamonix, popolarissima nell'Ottocento, poi quasi scomparsa dai palcoscenici, è tornata negli ultimi decenni in vari teatri italiani (Milano, Bergamo) e soprattutto stranieri (Zurigo, Vienna, Tokyo, Londra, Barcellona), segno che la bel canto renaissance ha giovato a quest'opera, pensata da Donizetti per un cast stellare e irripetibile, che metteva insieme sei dei migliori cantanti di quell'epoca d'oro: Tadolini, Brambilla, Moriani, Varesi, Dérivis, Rovere. In realtà questa coincidenza apparentemente fortunata ha causato qualche problema al risultato finale, perché bisognava dare spazio adeguato a tutti questi divi e quindi gonfiare una trama che è non solo assurda ma anche particolarmente esile: per esempio, si è da poco usciti da una romanza e una ballata lunghe e non indispensabili di Pierotto (la Brambilla) e subito ci si imbatte in un duetto tra il Prefetto e Antonio (cantati nel 1842 da Dèrivis e Varesi), in cui quello comunica a questo le mire del Marchese su Linda, laddove normalmente sarebbe bastato un recitativo, più stringato e anche più efficace. E si va avanti così, con una serie di pezzi privi di continuità drammatica. Ma tra questi s'insinuano alcune pagine geniali, come il duetto tra Linda e il Marchese nel secondo atto, dove lei ha una parte assolutamente seria e lui una assolutamente buffa, e come la scena della follia di Linda, così diversa da quella di Lucia. Un'altra carta vincente della Linda è la stesura particolarmente attenta, perché l'opera era destinata all'esigente pubblico viennesi. Altro che Dozzinetti! Qui l'orchestrazione ha una raffinatezza e una misura mozartiane, con l'aggiunta di qualche pennellata romantica, e lo stesso può dirsi dell'armonia. Mancano invece le soluzioni facili e ad effetto, come le code chiassose. Diretta con attenzione ed equilibrio da Riccardo Frizza, quest'edizione ha avuto un cast assolutamente adeguato. Jessica Pratt ha ormai perso quel tanto di meccanico che aveva all'inizio e ora le sue agilità e i suoi sovracuti sono morbidi e fluenti, insomma è una belcantista perfetta, ma si desidererebbe che il suo canto avesse un po' più d'anima, quella che ha invece il tenore Ismael Jordi, nonostante una vocalità non altrettanto straordinaria. Bruno De Simone combina magistralmente canto e recitazione per dar vita a un Marchese di Boisfleury irresistibile, un personaggio a tutto tondo che vivacizza e ravviva quest'opera definita semiseria, in cui però tutti gli altri personaggi sono seri e talvolta palliducci. Roberto De Candia si è difeso in un ruolo un po' pesante per un baritono brillante come lui, dato che fu scritto per il primo interprete del Macbeth (!) di Verdi. Bene Ketevan Kemoklidze nel ruolo en travesti di Pierotto. Cavernoso il basso americano Christian Van Horn. Emilio Sagi e i suoi collaboratori hanno montato uno spettacolo elegante e gradevole, ma uniforme, che dava continuità e coerenza al susseguirsi piuttosto sconnesso delle varie scene, senza però individuare il carattere drammatico delle varie situazioni.
Note: In coproduzione con Gran Teatre del Liceu di Barcellona
Interpreti: Linda; Jessica Pratt; Pierotto: Ketevan Kemoklidze; Carlo: Ismael Jordi/Giulio Pelligra (il 28); Antonio: Roberto De Candia; Maddalena: Caterina Di Tonno; Il Marchese di Boisfleury: Bruno De Simone; Il Prefetto: Christian Van Horn; L'Intendente del Feudo: Saverio FIore
Regia: Emilio Sagi
Scene: Daniel Bianco
Costumi: Pepa Ojanguren
Orchestra: Orchestra del Teatro dell'Opera di Roma
Direttore: Riccardo Frizza
Coro: Coro del Teatro dell'Opera di Roma
Maestro Coro: Roberto Gabbiani
Luci: Albert Faura
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