Una gabbia per Anna Bolena

Assente dal 1857, torna nel teatro veneziano l’opera di Donizetti in un nuovo allestimento firmato da Pier Luigi Pizzi 

Anna Bolena (Foto Michele Crosera)
Anna Bolena (Foto Michele Crosera)
Recensione
classica
Venezia, Teatro La Fenice
Anna Bolena
28 Marzo 2025 - 06 Aprile 2025

Un’“opera di cantanti” dove tutto quanto accade è pretestuoso ed è principalmente un’occasione per far esplodere il bel canto. Questo pensa dell’Anna Bolena di Donizetti, tornata sul palcoscenico del Teatro la Fenice dopo un’assenza che dura dal 1857, Pier Luigi Pizzi, regista, scenografo e costumista di questo nuovo allestimento. Per la cupa vicenda della regina Anna Bolena, sposa ripudiata e fatta giustiziare con l’accusa di tradimento dal re Enrico VIII d’Inghilterra per unirsi a Giovanna di Seymour, Pizzi sceglie come ambiente unico una grande struttura lignea dalle linee tardogotiche che evoca un’enorme gabbia nella quale l’opprimente corte di Inghilterra è imprigionata. Pochi elementi aiutano a differenziare gli ambienti dei due atti: nel primo, una tribuna per il trono e quindi per il letto della Bolena nella sua affollata camera, e nel secondo una cancellata di fondo a suggerire il carcere della Bolena e dei suoi sventurati compagni. Rispetto ad altri suoi spettacoli recenti, la prima Anna Bolena di Pizzi soffre di una spiccata convenzionalità. La sua cifra è piuttosto impersonale, se non fosse per la leggendaria eleganza dei costumi d’epoca rinascimentale e il gusto pittorico dei grandi tableaux che rimandano a certa pittura storica dell’Ottocento italiano, complice il raffinato disegno luci di Oscar Frosio

Opera di cantanti significa lasciare briglia sciolta a ogni interprete, con una certa noncuranza per la cura attoriale e puntando quindi tutto sul canto. Da questo punto di vista non delude la compagnia assemblata dal Teatro La Fenice per questo debutto in epoca moderna, un autentico sfoggio muscolare all’insegna del belcanto. Protagonista è Lidia Fridman, giovane soprano dal timbro scurissimo, di acuto facile e agilità sicure, ma poco sottile nel disegno del personaggio che resta ancorato alle abituali convenzioni melodrammatiche. Decisamente più definita sul piano scenico e vocale è invece la Seymour di Carmela Remigio, specialmente abile nel rendere credibilmente le molte ambiguità del personaggio e autorevole sul piano scenico. Poco incisivo risulta invece lo Smeton di Manuela Custer, che comunque supera senza problemi i pochi momenti in cui è protagonista. Sul versante maschile, come Enrico VIII Alex Esposito si conferma grande animale da palcoscenico e eccellente interprete anche vocale grazie uno strumento duttile e perfettamente controllato sul piano tecnico. Dopo qualche difficoltà iniziale e più di una forzatura negli acuti, Enea Scala ritrova slancio sulla distanza nel ruolo non facile del focoso Percy tutto proiettato su una tessitura molto spinta. Bene anche William Corrò, un Rochefort di elegante trama vocale, e Luigi Morassi, un Hervey ben cesellato e di bella presenza. 

Dalla buca Renato Balsadonna impone già dalla sinfonia un passo febbricitante, poco incline al sentimentalismo e più proiettato sui fremiti pre-risorgimentali. Non ci si annoia anche se talvolta l’orchestra tende a soverchiare le voci sul palco. Bene l’Orchestra del Teatro La Fenice che lo segue con slancio e un po’ sottotono il Coro del teatro marcatamente meno protagonista in quest’opera che in altri lavori donizettiani più maturi. 

Teatro esaurito alla prima. Caldi applausi. 

 

 

 

 

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