Brouček alla conquista della luna (e della scena)

Pienamente convincente la nuova produzione berlinese del più raro tra i capolavori di Janaček

Le avventure del signor Brouček  (Foto Arno Declair)
Le avventure del signor Brouček (Foto Arno Declair)
Recensione
classica
Staatsoper Berlin
Le avventure del signor Brouček
16 Marzo 2025 - 03 Aprile 2025

Le avventure del signor Brouček è il titolo sicuramente meno gettonato nel catalogo scenico di Janaček, benché la conclusione della sua composizione nel 1917 – anni dopo il primo capolavoro maturo, Jenufa – sia stato il viatico per l’ultimo straordinario decennio musicoteatrale. Le ragioni di tale immeritata disattenzione potrebbero trovarsi nell’impianto drammaturgico atipico (due atti unici collegati da medesimo personaggio centrale e analoga situazione, una peripezia sognata in seguito a una colossale sbornia), nell’apparente prevalenza della componente comico-grottesca rispetto a quella lirico-drammatica, nel legame fortissimo con la cultura cèca, a partire dal personaggio protagonista, una sorta di Schwejk godereccio e incline al buon senso comune; ma, al netto di qualche indugio parodico nel travagliato testo poi riflesso nella partitura, non sono assolutamente sufficienti a scansare una qualità musicale altissima e assai personale, basata su una notevole capacità di articolazione, trasformazione e stratificazione delle cellule sonore, oltreché della proverbiale aderenza all’aspetto espressivo e fonetico-linguistico.

L’occasione di assistere a un nuovo allestimento del titolo – raro perfino in area mitteleuropea – alla Staatsoper berlinese, per di più in una doppia firma spettacolare prestigiosa, era ed è troppo ghiotta, considerata l’ottima riuscita dell’allestimento. Simon Rattle coltiva da tempo le partiture musicoteatrali di Janaček, facendo così muovere al loro interno la Staatskapelle Berlin con chiarezza di distribuzione di pesi e colori senza nulla togliere alla loro ricchezza timbrica e tematica. La regia di Robert Carsen inventa un efficacissimo tropo d’ambientazione: siamo tra il 1969 della conquista della luna, per il primo atto – appunto un fantastico viaggio sul satellite, e l’anno precedente con la tragica rivolta praghese a sovrascrivere quella degli hussiti, ma pure con l’esplodere del beatnik psichedelico e la rivoluzione dei costumi trasposta nell’etereo contro-mondo lunare, non senza frizioni col divertito ma pragmatico Brouček. Molte le trovate esilaranti o azzeccate, quali i grandi contenitori per la fermentazione della birra pronti a diventare missili per la spedizione lunare, o la visionaria vittoria dei ribelli tramutata nella rivincita sportiva cecoslovacca contro l’Unione Sovietica in una celebre partita dei mondiali di hockey su ghiaccio nel ’68; l’elemento-perno nella regia – e nell’ottima realizzazione sceno-costumistica di Radu Boruzescu e – è però la visualità televisiva, quale ulteriore dominante d’epoca (ma, in quella di Janaček, il noto film di Meliès può aver dato qualche suggerimento ad autore della fonte letteraria e compositore): essa incornicia il tutto e fornisce materiale documentario utile a ricordarci che poi non solo di fantasie di un beone potrebbe trattarsi…

L’eccellenza della produzione si è apprezzata anche nel cast, assai solido vocalmente e attorialmente: il Brouček di Peter Hoare vi ha comunque spiccato, accanto alle prove di Aleš Briscein e Lucy Crowe, particolarmente applaudite da un pubblico non numerosissimo, però partecipe ed entusiasta, insieme a un Rattle gratificato – con l’Orchestra – da autentica ovazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

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