Nabucco subatomico in Arena

A Verona con la regia di Poda e la direzione di Steinberg

Nabucco (Foto ENNEVI per gentile concessione dell'Arena di Verona)
Nabucco (Foto ENNEVI per gentile concessione dell'Arena di Verona)
Recensione
classica
Arena di Verona
Nabucco
13 Giugno 2025 - 05 Settembre 2025

La ricca stagione estiva della 102esima edizione dell’Arena di Verona Opera Festival si apre con un nuovo, spettacolare e smisurato (come si conviene alla maggior parte delle produzioni areniane) allestimento di Nabucco, per la regia di Stefano Poda (già artefice della famosa – sarebbe meglio dire famigerata? – Aida “di cristallo”), impegnato anche come scenografo, costumista, direttore delle luci e coreografo. 

Il regista sceglie di ambientare (si può davvero usare questo verbo?) la guerra politica e religiosa tra gli Ebrei oppressi e gli Assiri conquistatori in un mondo allo stesso tempo postatomico e subatomico. Due enormi emisferi troneggiano sui lati del palcoscenico, incorniciando una altrettanto imponente clessidra metallica, su cui è incastonata la parola “Vanitas” e situata in altezza sulle gradinate posteriori alla scena. Quella di Poda è una regia “da programma di sala”: la ricerca del senso drammaturgico rispetto alla smodata astrattezza ed ermeticità dell’allestimento è fattibile solo consultando le dichiarazioni del regista stesso (con il pericolo – lo dico anche rischiando la contraddizione – del sorgere di nuovi dubbi). Le due semisfere rappresenterebbero la scissione dell’atomo, la quale metaforicamente (e in modo fin troppo vago, vacuo e retorico) declinerebbe quella tra ragione e spirito; la clessidra è l’evidente simulacro della caducità dell’esistenza umana, prigioniera della propria vanità. 

Traslare l’intera vicenda del primo capolavoro verdiano in una dimensione semantica tanto astratta significa abbandonare all’inarrestabile flusso metaforizzante del comparto visivo (eccessivamente scisso da quello musicale) la maggior parte degli aspetti sentimentali e privati dei personaggi. È ciò che accade quando il programma di sala trionfa, dominando, sul libretto dell’opera.

Tuttavia, occorre apprezzare la geometrica e corretta gestione delle masse, impegnate in ordinate coreografie, che simulano gli scontri bellici tra i due popoli rivali ricorrendo all’eleganza della scherma. Allo stesso modo, svettano gli innovativi costumi, dal gusto sci-fi (in particolare quello dei mondi virtuali al neon della saga cinematografica di Tron), realizzati utilizzando non solo pregiati tessuti, ma anche bizzarre componenti elettriche, che nel terzo atto investono l’arena con tutta la loro fluorescenza. Dunque, la fastidiosa e spiacevole latitanza del senso drammaturgico è compensata dall’ingente presenza di quello spettacolare, come testimonia la visivamente appagante esplosione (un vero e proprio fungo atomico, ça va sans dire) che chiude il secondo atto. 

Sul fronte musicale, emerge qualche discontinuità di rendimento (bisogna sempre considerare le avversità acustiche proprie di una performance all’aperto), ma il risultato generale è più che buono. Nella recita del 31 luglio, Luca Salsi (Nabucco) e Anna Netrebko (Abigaille) si impongono agevolmente nei ruoli principali dell’opera (sublime il loro duetto nel terzo atto). Il baritono italiano conferma la perfezione interpretativa ed esecutiva con cui incide i ruoli verdiani: il timbro caldo, la dizione scolpita e il fraseggio impeccabile restituiscono un Nabucco propriamente tragico, cioè uniformemente fragile e regale (superbo il suo Dio di Giuda). Il soprano russo domina l’arena, proiettando il suo possente strumento fino agli spalti più lontani; la sua voce brunita e pastosa doma abilmente l’impervia scrittura vocale del ruolo, caratterizzata da ardui passaggi dal registro acuto a quello grave (molto buona la resa del difficilissimo “fatal sdegno” al termine del recitativo “Ben io t’invenni, o fatal scritto!”, a cui segue l’appassionata esecuzione dell’aria Anch'io dischiuso un giorno). Gli acuti rotondi e massicci affermano il carattere belligerante della principessa assira (anche quando, in rari casi, l’intonazione non è al massimo), compensato da una latente fragilità emotiva dischiusa in soavi mezzevoci. Francesco Meli (Ismaele) si apprezza per musicalità e maturità vocale, mentre Christian Van Horn (Zaccaria) conquista grazie alla consona ieraticità e all’ottima gestione del registro grave con cui interpreta il capo spirituale degli Ebrei. Infine, non convince appieno Anna Werle (Fenena): vocalmente dotata, ma qui poco più che sufficiente. Adeguati i restanti membri del cast e ottima la prova del coro, preparato efficacemente da Roberto Gabbiani (notevole la resa di Immenso Jeovah nel finale).

Alla guida dell’orchestra areniana, che esibisce un suono omogeneo e ben strutturato, l’esperto Pinchas Steinberg. Il direttore israeliano conduce con cautela, preferendo sottolineare la musicalità della partitura verdiana, anziché gli spasmi ritmici e dinamici, che tuttavia la caratterizzano. Una direzione forse troppo educata, gentile e morbida (davvero troppo mesto l’esplosivo finale del secondo atto), a cui manca quell’impeto infuocato necessario a un’opera come Nabucco.

Cordiali applausi per tutti senza particolari eccessi, a testimonianza di uno spettacolo riuscito a metà, che, con la sua spettacolarità, farà contenti probabilmente più i turisti che i melomani. 

 

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