Una lettura molto personale, carica di simboli e allusioni, quella che la regista Rosetta Cucchi offre per L'Arlesiana, allestimento coprodotto con il Wexford Festival Opera. Le dettagliate didascalie che corredano il libretto e che suggeriscono un'ambientazione pittoresca nella ridente campagna provenzale sono del tutto disattese a favore di una scenografia cupa, tendente al grigio e al nero, dominata da un alto muro. Sono l'introspezione e il percorso verso la follia di Federico il filo conduttore del dramma, sempre più serrato e popolato di apparizioni, con sdoppiamenti della persona del protagonista e infinite moltiplicazioni di quella della ragazza di Arles, idea fissa e cupa ossessione che porterà Federico al suicidio. Inevitabile, con effetto straniante, il contrasto tra la cifra gioiosa di certe pagine e il clima tetro dell'allestimento, che fa presagire l'incombere della tragedia e la transitorietà degli episodi più festosi. L' opera propone una rarità musicale: in prima esecuzione italiana la seconda romanza di Federico, "Una mattina m'apriron nella stanza", ritenuta perduta e recuperata un anno fa dal tenore Giuseppe Filianoti nella città natale di Cilea, Palmi. La ricchezza timbrica e dinamica della partitura è ben interpretata dalla FORM, diretta dal giovanissimo Francesco Cilluffo. Ottimi anche i cantanti, tra i quali il controtenore Riccardo Angelo Strano, nella parte dell'Innocente. Finale a sorpresa con il doppio suicidio di Federico, che si taglia la gola, mentre subito dopo il suo alter ego appare impiccato; ma niente tuffo nel vuoto, come vorrebbe il libretto.
Note: Dal dramma di Alphonse Daudet, libretto di Leopoldo Marenco. Prima esecuzione: 27 novembre 1897, Teatro Lirico di Milano, Enrico Caruso protagonista