Amazilia: un ripescaggio finalmente convincente
Una fra le tante opere dimenticate del sottovalutato Giovanni Pacini chiude a Fano la quarta edizione del festival “Il Belcanto ritrovato”, sorprendendo il pubblico per la musica di inattesa qualità artistica.

Si è conclusa la 4ª edizione del festival Il Belcanto ritrovato (9-26 agosto), raro esempio di coraggio e sperimentalismo che, anno dopo anno, sta vincendo scommesse apparentemente impossibili al suo primo apparire, nel 2022. Ideato dall’entusiasmo di un privato, il manager milanese Rudolf Colm, e promosso da un’orchestra, la Sinfonica “G. Rossini” di Pesaro, il festival è concepito come complemento del Rossini Opera Festival, cui si interseca nel mese di agosto sulla provincia di Pesaro e Urbino, proponendo musiche di compositori dimenticati del primo Ottocento italiano. Tappa di arrivo è l’esecuzione di un’intera opera, che negli anni ha visto portare in scena Cecchina suonatrice di ghironda (farsa sentimentale di Pietro Generali), Il birraio di Preston (opera comica di Luigi Ricci) e La casa disabitata (opera comica di Lauro Rossi).
Conferenze e concerti hanno puntato quest’anno l’attenzione sui nomi di Gioacchino Albertini, Giovanni Aspa, Pietro Antonio Coppola, Vincenzo Federici, Placido Mandanici, Giovanni Pacini e Nicola Vaccaj, mentre la scelta dell’opera da allestire ha optato per la prima volta sul genere serio, rivolgendosi ad Amazilia di Pacini (Napoli 1825). Una scelta quanto mai felice: tali “riesumazioni” lasciano il più delle volte poco soddisfatti, anche nel caso di autori più titolati; qui la sorpresa è stata invece tanta, per una qualità della musica davvero inattesa.
Della musica, va ribadito; perché il libretto di Giovanni Schmidt (autore noto per vari testi rossiniani) rinuncia ad andar oltre la semplice esposizione dell’immancabile triangolo amoroso, ambientato in questo caso non più fra le classiche due famiglie rivali europee, ma fra tribù contrapposte di indigeni in un nord America appena invaso dagli spagnoli. E vediamo allora di individuare qualche tratto caratteristico di questa musica tanto efficace al primo ascolto.
Amazilia apparteneva in origine al genere circoscritto dell’opera seria in un solo atto, tipica del Teatro San Carlo in occasione di particolari festeggiamenti dei regnanti, che nella stessa serata pretendevano spazio anche per altre ritualità. Gli interpreti per cui Pacini confezionò la partitura erano massimi (Joséphine Fodor-Mainvielle, Giovanni David, Luigi Lablache), e ciò si ripercuote sulla scrittura delle parti vocali, spinta all’estremo. Il successo immediato convinse l’autore ad ampliare l’opera a due atti per renderla esportabile; e in tale versione è stata proposta dal Festival Il belcanto ritrovato al Teatro della Fortuna di Fano, nella revisione di Gianmarco Rossi.
Se le strutture formali sono quelle dell’epoca rossiniana, in cui anche Pacini visse, il “giro” delle melodie è qui differente da quello di Rossini, cui siamo più avvezzi. I recitativi accompagnati dall’orchestra sono poi brevissimi (c’è ben poco da far succedere sul piano drammatico) e spinti verso la melodizzazione piuttosto che la declamazione, mentre i numeri musicali (arie, duetti, terzetti) sono lunghi lunghi lunghi, integralmente affidati alla forza evocativa delle voci, e terminano in più d’un caso senza lasciar spazio all’applauso (che all’epoca doveva comunque scoppiare sull’ultima nota del canto, non dell’orchestra).
«Mi si dava il nome di Maestro delle cabalette, poiché in generale avevano qualche pregio di spontaneità, di eleganza e di forma», ricorderà Pacini nella sua autobiografia; e in effetti ogni cabaletta di Amazilia accendeva all’ascolto un qualche motivo d’interesse, anziché di meccanico debito alla convenzione, tanto che la loro ripetizione non suonava mai inutile, anche a ragione delle varianti introdotte dagli esecutori. La durata della partitura, pur nella forma ampliata dall’autore, è infine umanamente sostenibile (poco più di due ore, separate da intervallo), cosa che ne facilita la fruibilità moderna.
Il direttore Enrico Lombardi, già elemento fondamentale nella riproposta operistica dello scorso anno, ha confermato le sue capacità nel tenere in pugno la situazione, optando per un’esecuzione assolutamente integrale. Col suo gesto assai comunicativo, riesce a “parlare” a cantanti e strumentisti, ovviando in diretta alla scarsità di prove concesse dal calendario produttivo. Complessivamente molto buona la prestazione dell’Orchestra Sinfonica “G. Rossini” e funzionale ai brevi interventi richiesti il Coro del Teatro della Fortuna preparato da Mirca Rosciani.
Amico personale dello stratosferico David, Pacini scrisse per lui una parte “impossibile” (trilli insistiti, rapidissime volate, acuti estremi), che il tenore Manuel Amati ha affrontato con tutta l’umiltà e l’impegno richiesti da tale cimento oltre misura.
Giorgio Caoduro ha affrontato la parte altisonante ideata per Lablache con l’agilità sgranata e martellata (anziché morbida e legata) che gli è tipica, cercando in alto quello sfogo alla voce che trova con più fatica al grave, incline pure all’aggiunta di acuti finali stilisticamente controversi, che avrebbero forse potuto essergli preclusi dal direttore.
L’esito più convincente e compiuto veniva dal soprano Paola Leoci, reduce da una dignitosissima Cambiale di matrimonio al ROF nei giorni precedenti, ma qui sbocciata in una prestazione di livello incredibilmente alto, con un tragico rondò mozzafiato del quale non una sola nota è uscita vagamente incerta. Applausi incondizionati per lei.
Pubblico numeroso (in rapporto al tipo di proposta, tutt’altro che popolare), con molte presenze dall’estero. Gli assenti potranno verificare l’esito della produzione nella prevista registrazione discografica su etichetta Bongiovanni. Vi mancherà la componente visuale, ma quello che veniva annunciato come «Allestimento in forma semi-staged» si è limitato a una esecuzione immobile davanti a leggii, con disegni (di Tommaso Casadei) proiettati sullo sfondo di quella Louisiana e di quella Florida selvagge immaginate dal fantasioso librettista nelle sue didascalie.
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