Puccini secondo Chailly
Successo per Turandot col finale di Berio alla Scala
Recensione
classica
La conferma che il binomio Puccini-Chailly sia un'eccellenza la si è avuta con Turandot che alla Scala ha festeggiato l'inaugurazione di Expo. Un'orchestra in stato di grazia, dalle accentuate sonorità novecentesche, aspre, violente (talvolta col rischio di mortificare i cantanti, quando arretrati in palcoscenico), una scelta determinata dal finale di Berio che ha fatto da calamita a tutta l'esecuzione. Non c'è mai un momento di languore, anche l'invocazione alla luna del primo atto diventa quasi petrosa. L'effetto è del tutto nuovo e straordinario. Quanto ai sedici minuti finali composti da Berio aggiungono allo spettacolo una nota dolente, la presenza del cadavere di Liù in scena ricorda ai due protagonisti il prezzo del loro amore trasformando il lieto fine in un dubbio amaro. A questo si aggiunga il piacere di sentire affiorare qua e là citazioni dal duetto d'amore e dal preludio di Tristano e Isotta. Insomma la parte strumentale nel finale la fa da padrone.
La regia di Nikolaus Lehnhoff, che si avvale delle scene di Raimund Bauer e dei costumi di Andrea Schmedt-Futterer (di sicuro un ammiratore di Depero) è elegante e senza fronzoli. C'è una muraglia rosso lacca, con tre profondi balconi collegati da un praticabile, più sopra un gigantesco oblò dove fa la sua prima apparizione la principessa e poi l'imperatore. Da sottoterra compare invece il popolo di Pechino con cappellacci, palandrane nere e occhiali neri, in simil zombie. Assente però nel secondo atto, sostituito da un coro di notabili in rosso e mascherine bianche sistemati in alto (la conferma che la soluzione degli enigmi è corretta vien fatta da loro non dai saggi).
Nel dare preferenze ai cantanti, in prima posizione è senza dubbio Maria Agresta nei panni di Liù, per eleganza e tenerezza di voce, poi i tre folli e spiritosi Ping, Pang, Pong (Angelo Veccia, Roberto Covatta, Blagoj Nacoski). I loro siparietti funzionano che è una meraviglia, specie nel gioco in proscenio col velario rosso ad apertura del secondo atto. Con però una caduta di gusto della regia quando nel parlare di "sacri testi" aprono la gigantografia di una pin-up. La Turandot di Nina Stemme è nella nobile tradizione delle voci wagneriane che interpretano il personaggio, mentre Aleksandrs Antonenko dispone di un'emissione da Heldentenor ma senz'anima. Buono il Timur di Alexander Tsymbalyuk.
Dieci minuti di applausi per tutti a fine spettacolo, con ovazioni per Maria Agresta. In sala l'ex presidente Giorgio Napolitano e sul palco centrale le autorità in carica.
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