La corona nella cartella

Il Macbeth di Gergiev e Barberio Corsetti alla Scala non convince

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Giuseppe Verdi
28 Marzo 2013
Se da bambino uno sventra il suo orsetto di pezza (è quanto accade durante il preludio per spiegare la psiche del protagonista) finisce per forza male. Tra le situazioni inventate dal regista Giorgio Barberio Corsetti per questo Macbeth (purtroppo nell'infelice edizione del 1847) molte sono campate in aria, dalle proiezioni dei faccioni di Mussolini e Hitler nel quarto atto alla presenza di una regina a fianco di Duncano (posticcia l'entrata del corteo dal fondo sala con la cronaca televisiva in diretta alla Viaggio a Reims). Per non parlare della fatidica lettera trasformata in sms sul cellulare della Lady, impersonata da Lucrecia Garcia, soprano dal raro straniamento involontario (confermato dal recente Nabucco scaligero) o di Macbeth in fuga con una cartella da ragioniere dove nasconde l'amata corona. Gli stridori delle insinuazioni registriche sono tanti, dai volteggimenti degli acrobati durante il secondo intervento delle streghe (le migliori sulla scena, anche se dopo le loro coreografie spastiche finiscono per atteggiarsi a coriste in proscenio), alle proiezioni di rivoli di sangue, di nastri colorati che si materializzano sui muri, di subitanei incendi. Ma ciò che più guasta lo spettacolo è la recitazione sommaria e la mancanza di tensione nella coppia maledetta, anche perché oltre la Lady anche il Macbeth di Franco Vassallo è impermeabile a qualsiasi espressività. La voce migliore è di Stefano Secco (Macduff), mentre seppure perentoria quella di Stefan Kocàn (Banco) pecca di dizione imprecisa. A tutto questo si aggiunga la direzione distratta di Valery Gergiev, molto sfoggio muscolare, ma nessuna attenzione per alcuni passaggi che per sua sfortuna tutti noi abbiamo negli orecchi grazie a registrazioni esemplari. L'orchestra lo segue con attenzione, ma non c'è un solo momento da ricordare. Dopo un singolo grido "Che schifo" dal loggione all'inzio del terzo atto, a fine serata applausi indiscriminati ai cantanti che si sono presentati per prudenza tutti insieme, un buu marcato per Gergiev e altri buu protratti a lungo all'apparire del regista e dei suoi collaboratori. Numerosi gli spettori russi in sala, ma non sufficienti a far cambiare l'atteggiamento del pubblico per uno spettacolo verdiano da teatro di provincia. Anche le repliche, oltre la prima, sono fuori abbonamento tranne che per gli ultimi turni.

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