Kirill Petrenko conclude trionfalmente la stagione sinfonica di Santa Cecilia

Tre magnifiche interpretazioni di Schumann, Mozart e Brahms

 

Kirill Petrenko
Kirill Petrenko
Recensione
classica
Roma, Parco della Musica, Sala Santa Cecilia
Kirill Petrenko
12 Giugno 2025 - 14 Giugno 2025

 

Gran finale della stagione sinfonica 2024-2025 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia con un concerto di Kirill Petrenko, ripetuto come sempre tre volte in sede e poi portato con una tournée lampo al Teatro alla Scala di Milano.

Il primo brano in programma era l’ouverture delle musiche di scena di Robert Schumann per Manfred  di George Byron, scritte tra il 1848 e il 1851: solo lui poteva mettere in musica le vicende di un personaggio dall’animo tormentato e sconvolto qual è il protagonista del poema drammatico di Byron. D’altronde egli stesso era turbato da crisi di nervi, depressioni, fobie e allucinazioni, che di lì a pochi anni l’avrebbero condotto alla follia. Il risultato fu la musica più totalmente, accesamente ed esasperatamente romantica (non nel senso del romanticismo al chiaro di luna) del più romantico dei compositori. Quest’ouverture è un capolavoro ma per rendersene conto bisogna ascoltarla in un’interpretazione che ne colga pienamente l’essenza. Nel corso della carriera d’ascoltatore del sottoscritto Petrenko è il solo che abbia reso l’ardore, gli slanci appassionati ma anche e soprattutto lo spirito ribelle, i tormenti e le allucinazioni di questa musica, che si manifesta nei guizzi spettrali, nei colori lividi e nei ritmi inquieti, che rendono questa musica qualcosa di unico, senza raffronti possibili in nessun’altra musica orchestrale romantica. Un brano aspro, ostico e inquietante, ma proprio per questo un capolavoro affascinante. 

Si passava a un mondo totalmente diverso con la Sinfonia concertante K297b per flauto, oboe, fagotto e corno, sulla cui attribuzione a Mozart si è discusso a lungo e si discute ancora. Ma la mano di Mozart è chiaramente riconoscibile: non è uno dei suoi maggiori capolavori -  la compose a ventidue anni durante il suo soggiorno a Parigi, per soddisfare i gusti e le tradizioni francesi - ma l’incanto dei temi, la meraviglia dei dialoghi tra i quattro solisti e l’elegante equilibrio formale non possono essere che di Mozart. Petrenko ha tenuto in mano le redini dell’esecuzione con attenzione e precisione assolute ma anche con una discrezione che è segnale di una rara e encomiabile modestia, offrendo una cornice impareggiabile alle ottime quattro prime parti dell’orchestra impegnate come solisti: Andrea Oliva (flauto), Francesco Di Rosa (oboe), Andrea Zucco (fagotto) e Alessio Allegrini (corno). Certamente Petrenko ha scelto d’inserire in programma questa Concertante dopo aver sperimentato nelle sue precedenti esperienze romane la qualità altissima di questi musicisti: non ci può essere riconoscimento più alto e quindi non aggiungeremo aggettivi e superlativi superflui. I loro amici e compagni dell’orchestra hanno dato il loro impeccabile contributo all’esecuzione.

La pièce de résistance del concerto era la Sinfonia n. 1 in do minore op. 68  di Brahms, che a Santa Cecilia è stata diretta dai più grandi direttori degli ultimi cento e passa anni. Premesso che naturalmente non ho potuto sentirli tutti, Petrenko supera tutte le interpretazioni di questa sinfonia da me ascoltate finora. Come già notato nella cronaca della Nona Sinfonia  di Beethoven diretta da Petrenko a Roma nel 2019  anche questa volta nella sua interpretazione si poteva riconoscere l’ombra o piuttosto la luce di un gigante come Furtwängler: questo legame con i grandi del passato è un segno della sua consapevolezza che la tradizione - quella buona, che è il contrario della routine - non è un peso ma è il viaggio attraverso le epoche compiuto dalla musica del passato, arricchendosi negli anni di nuovi significati e di nuovi apporti.

L’attacco del primo movimento è “un poco sostenuto” (e sottolineo poco) e non “allegro” come generalmente lo si ascolta: correttamente Petrenko al pari di Furtwängler sceglie un tempo nettamente più lento del consueto, che dà a quest’inizio un respiro grandioso e un afflato tragico impressionanti. Come nelle numerose registrazioni di Furtwängler così nell’interpretazione di Petrenko il battito dei timpani non è violento e fortissimo ma è cupo e fatale: inevitabile il collegamento con la Quinta  di Beethoven, che sembra confermato dalla comune tonalità di do minore, che non è casuale, e dalla definizione di “decima di Beethoven” data da von Bülow alla prima di Brahms. Qui e in seguito Petrenko chiede all’orchestra un suono antico, amalgamato, compatto, brunito, in cui i singoli timbri degli strumenti emergono solamente nei brevi e sporadici ‘solo’.

L’Andante sostenuto è un momento di pausa, a cui Petrenko conferisce un lirismo semplice e toccante. Nel terzo movimento alterna con magnifici contrasti i momenti morbidi e luminosi a quelli più mossi e agitati, cosicché il movimento, che ha la forma ma non il carattere di uno Scherzo, rivela la sua irrequietezza e inquietudine: tutt’altro che una pausa di distensione. E infatti la conclusione di questo movimento non è affatto serena ma sospesa, incerta, percorsa da fremiti oscuri, che Petrenko coglie meravigliosamente. Poi, come nelle registrazioni dal vivo di Furtwängler, attacca subito l’Adagio di apertura del quarto movimento, che in effetti si riallaccia strettamente all’atmosfera dell’ultima parte del terzo movimento e la intensifica. Solo a metà del finale Brahms vira dal do minore al do maggiore (come nella Quinta di Beethoven, dove però quest’inatteso e irrituale passaggio avviene nella transizione del terzo al quarto movimento) e anche adesso Petrenko coglie pienamente questo cambiamento di atmosfera, dando alla sinfonia una conclusione gioiosa, con un tempo molto sostenuto e sonorità orchestrali piene e irresistibilmente trascinanti: un finale splendido per un concerto splendido dalla prima all’ultima nota.

 

 

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

A Bologna si inaugura la rassegna estiva Pianofortissimo & Talenti

classica

A Bologna nel concerto di presentazione del Festival Respighi 2025

classica

I centenari dei due compositori celebrati con un concerto dell’Odhecaton