Janácek trionfa alla Scala
Straordinaria "Dalla casa dei morti" diretta da Salonen
Recensione
classica
Tanto di cappello a Patrice Chéreau che, affrontando "Dalla casa dei morti" (ultimo titolo del ciclo Janácek fortemente voluto dal sovrintendente Lissner), ne ha fatto affiorare la struttura drammaturgica nascosta, perché l'opera in sé è in una sorta di basso continuo di dolore, dove anche i rari a solo delle vite precedenti dei detenuti rimangono soffocati dalla ineluttabile staticità dell'inferno carcerario. Richard Peduzzi ha inventato uno spazio di rara cupezza con grige pareti mobili, che via via lo trasformano in cortile per l'ora d'aria, teatrino, dormitorio, senza mai perdere la carica claustrofobica. Qui si agitano, si sbranano, si lasciano morire gli uomini in gabbia raccontati da Dostoevskij durante la sua prigionia.
Esa-Pekka Salonen sul podio ha dimostrato grande capacità analitica, ma anche energica e lucida visione d'insieme, ottimamente assecondato dall'orchestra. Come già è successo nei suoi primi recenti concerti milanesi, c'è da augurarsi davvero che il direttore finlandese diventi una presenza costante alla Scala perché portatore di assoluta autorevolezza.
L'attesissimo spettacolo, salutato ieri con caloroso entusiasmo dal pubblico, è frutto di una coproduzione con Vienna (dove era andato in scena nel 2007 diretto da Boulez), Amsterdam, Aix-en-Provence, New York (dove a dirigerlo era subentrato Salonen). Naturale che sia risultato rodato al massimo, dato che la compagnia di canto è rimasta quasi identica e con una gestualità studiata e ristudiata al millimetro da Chéreau e dal suo braccio destro Thierry Thieu Niang. L'unica novità del cast riguarda il prigioniero politico Gorjanikov, interpretato dal giamaicano di colore Willard White che potrebbe far pensare a Nelson Mandela. Comunque cambia poco all'aspro apologo sul mondo "a parte" del penitenziario, per ora il momento più alto della stagione in corso e non solo di questa.
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