Il Maggio alla Scala
Festosa serata alla Scala con l'Orchestra del Maggio e Mehta in ottima forma
Recensione
classica
"Torniamo alla Scala dopo 18 anni, non possiamo non fare Verdi" così Zubin Mehta ha annunciato il bis di fine serata, subissato da applausi insieme con la sua Orchestra del Maggio Fiorentino, ospite della stagione della Filarmonica scaligera. Ha quindi concluso il concerto con l'ouverture della Forza del Destino, come l'aveva aperto con un'altra ouverture, quella della Chovanscina. Dando in entrambi i casi la prova che si tratta di un'orchestra capace di delicatezze eteree come di volumi possenti e compatti senza mai venir meno a una strabiliante trasparenza. Nel sentire simili sonorità nella sala del Piermarini s'innescano subito paragoni involontari a vantaggio dell'organico ospite e ovvie constatazioni: sono quasi trent'anni che l'Orchestra del Maggio e Mehta collaborano e questo legame è palpabile. Il punto di riferimento continuativo rafforza l'identità di un'orchestra e scongiura i pericoli di sfaldamento, di decadenza.
Detto questo, il programma prevedeva il concerto per violino di Cajkovskij, solista l'olandese Janine Jansen. Una giovane, dotata di elegante aggressività, che ha liberato l'esecuzione da ogni tentazione sentimentale per mettere in risalto solidità strutturale e durezze. E nella seconda parte la Prima di Mahler, con una curiosità insolita. Mehta ha reintegrato come secondo tempo l'originario Blumine, poi tagliato dallo stesso Mahler. Un brano che stride con le nostre abitudini di ascolto, perché tenue e morbido, che sfilaccia un poco l'unità della composizione. L'interpretazione che Mehta e i suoi hanno dato della Prima è stata comunque esemplare per analisi, scelta dei tempi, sonorità nette. Insomma una grande serata, come ce ne vorrebbero tante alla Scala. Oltre al pubblico, sono parsi soddisfatti anche i musicisti e il maestro che in questi mesi vivono la drammatica precarietà del Maggio Musicale.
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