Dora e il diavolo (probabilmente) 

Ancora un successo a Stoccarda per la ripresa dalla scorsa stagione dell’opera Dora di Bernhard Lang su un libretto di Frank Witzel 

Dora (Foto Martin Sigmund)
Dora (Foto Martin Sigmund)
Recensione
classica
Stuttgart, Opernhaus
23 Marzo 2025 - 08 Aprile 2025

“Who the hell is Dora?” Non è per niente una domanda scontata quella che il compositore Bernhard Lang e il suo librettista Frank Witzel rivolgono agli spettatori (e verosimilmente a se stessi) sulla protagonista della loro opera Dora, andata in scena con successo nella scorsa stagione alla Staatsoper di Stoccarda e ora ripresa “a grande richiesta” e con la laurea di miglior prima assoluta della passata stagione per cinque repliche. 

Banalmente si potrebbe rispondere che Dora è una giovane che vive in un’anonima periferia industriale di una qualche anonima città dell’Occidente. Ha poco più di vent’anni e della vita non sa bene cosa farsene. Vive ancora con i genitori, con cui ha un rapporto difficile. Condivide con loro la casa e con un fratello inconcludente e una sorellina che è la sola ad ascoltarla. Insieme preparano un rito magico per evocare il diavolo, usando oggetti improbabili come uova, nastro adesivo e rigaglie di pollo. A mezzanotte, qualcosa accade: compare una figura che si presenta come il diavolo, vestito da moderno burocrate. Dice che il mondo ha bisogno di un nuovo ordine perché quello creato da Dio non funziona più. Dora, scettica, non lo riconosce e lo caccia. Lui se ne va ma le lascia una frase sibillina: “Le strade del destino sono intricate, e una volta che la speranza è appassita, si desidera ciò che si è rifiutato.” Il diavolo riappare poco dopo nel tentativo di corrompere Berthold, un funzionario pubblico, per convincerlo a investire in un vecchio stagno e farne un luogo ricreativo. Berthold ripensa con nostalgia a quando con Dora pattinò sul ghiaccio dandole un bacio. Il diavolo lo inganna facendogli credere che Dora ricambi i suoi sentimenti pur avendo un “affaire” con il capo di lui. Deluso, più tardi Berthold tenta il suicidio proprio in quello stagno, ora trasformato in un luogo idilliaco. Sopravvive ma con gravi danni fisici. Dora, toccata dal suo gesto, inizia ad accudirlo ogni giorno, abbandonando la vecchia monotonia per una nuova. Ancora una volta, il diavolo le appare e le propone una fine tragica: gettarsi insieme a Berthold da una rupe. Dora rifiuta. Il diavolo, sconfitto, si ritira. Lei spinge la sedia a rotelle di Berthold verso un futuro ancora incerto ma forse di vera condivisione. 

Trama corposa per un’opera lunga cinque atti per poco più di 90 minuti e che, in fondo, risponde solo in parte alla domanda iniziale. Il brillante e densissimo libretto di Frank Witzel (sono 700 le righe di sovrattitoli!) è un raro esempio di equilibrio fra profondità filosofica e leggerezza teatrale: allude più di quanto non dica veramente e tratteggia Dora come una sorta di Faust contemporaneo in un mondo nel quale il divino e il suo opposto hanno completamente esaurito la loro funzione. Se c’è una salvezza e un senso nell’esistenza, pare di capire, c’è solo nella vicinanza, ma quella vera, fra persone. Nell’agile allestimento firmato da Elisabeth Stöppler in una cornice astratta e concettuale disegnata con tocco leggero dallo scenografo Valentin Köhler, l’analogia con i personaggi della tragedia di Goethe diventa palese solo nel quinto atto quando Dora e il diavolo indossano vecchi costumi di un teatro d’altri tempi (e soprattutto lui rimanda all’immagine mefistofelica del controverso attore Gustaf Gründgens, già ritratto nel sulfureo Mephisto di Klaus Mann). Il tutto comunque è guidato con mano leggera, con qualche eccesso parodistico nel quadretto di famiglia e un tocco sentimentale nel ritratto di Berthold malato. 

Se il testo sfiora appena la riflessione filosofica, Bernhard Lang opta invece per un postmodernismo col sorriso, che accanto alla sua firma stilistica (ossia ripetizione incessante di brevi cellule tematiche) accosta passaggi operistici molto noti per sottolineare alcuni snodi narrativi: se si parla del destino di Dora risuona il tema delle Norme del Götterdämmerung, se si parla di famiglia o di padri tutt’altro che modello si ascoltano le celebri quattro note minacciose del nome “Agamemnon” dall’Elektra straussiana, o se il diavolo inganna con la seduzione il funzionario Berthold arriva lo Jago verdiano a dare una mano. Travolgente è soprattutto l’inizio con un autentico boato, un big bang, prodotto dalle percussioni disposte sulle due logge di proscenio e sul palco reale. Alle sole percussioni spetta anche la chiusura nel ritmicamente pulsante finale, nel quale cantanti e orchestra tacciono e che annuncia la fine di un ordine ormai fin troppo caotico o – chissà? – la nascita di un nuovo e più positivo universo. 

Accanto alla notevole prova della Staatsorchester Stuttgart guidata da Christopher Schumann, affidabilissimo timoniere fra i volubili vortici musicali di Lang, punto di forza dello spettacolo è il formidabile cast, immutato rispetto alla scorsa stagione. Josefin Feiler è una Dora di grande naturalezza e straordinaria energia, mentre Marcel Beekman è un diavolo irresistibilmente androgino che dà mostra di saperla lunga e affronta con sicurezza le asperità modellate sulle sue possibilità vocali. Fra gli altri interpreti, si distingue soprattutto Elliott Carlton Hines particolarmente nel toccante ritratto del Berthold post-incidente, mentre della famiglia il ritratto più vivido è quello della sorella di Shannon Keegan più che quelli del padre di Stephan Bootz, della parodistica madre di Maria Theresa Ullrich o del fratello di Dominic Große poco più che dei bozzetti comici. Autentico tocco di classe è la partecipazione del Neue Vocalsolisten extended (Peyee Chen, Susanne Leitz-Lorey, Truike van der Poel, Frauke Elsen, Johannes Mayer, Martin Nagy, Guillermo Anzorena e Andreas Fischer) che impersonano un disincantato Coro antico di impeccabile qualità vocale. 

Il successo della scorsa stagione si ripete anche in questa ripresa con un folto pubblico generosissimo di applausi e sonore chiamate rivolte a tutti gli interpreti. 

 

 

 

 

 

 

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