Ultimo titolo in cartellone, e nuovo allestimento curato direttamente dal Teatro Comunale, è andata in scena a Modena una Turandot segnata dal duplice carattere che emergeva dall'incontro tra la visione registica di Giuseppe Frigeni e la direzione musicale di Lukas Karytinos. Due segni per molti versi quasi opposti, ma sicuramente complementari nel tratteggiare questo dramma lirico, riuscendo nel contempo ad evitare un bozzettismo esotico descrittivo e pedante. Su tutt'altri parametri dunque si è mossa la regia, organica con le belle scene curate dallo stesso Frigeni e con i costumi appropriati ideati da Amélie Haas. Una scalinata sviluppata per tutto il palcoscenico, che si apriva al centro mostrando ora la macabra collezione di teste cadute a causa degli enigmi di Turandot, ora un 'fiume' rosso nel quale andrà a morire Liù. Per ognuno dei due lati della 'scatola scenica' cinque elementi imponenti, paralleli e neutri, che racchiudevano la vicenda in un teatro-mondo astratto efficace nell'assecondare la dimensione fantastica della fiaba. Tutto questo era unito ad un uso delle luci (Guido Levi) e ad un movimento di elementi scenici compatti e lineari che ricordavano un indirizzo registico di matrice wilsoniana, qui concretato in un gusto orientale dalla sobria eleganza minimale. Una lettura efficace, insomma, che presentava il lato più scontato in alcune simbologie forse troppo scoperte e ridondanti (le tre sfere luminose che scendono dal cielo con lo sciogliersi degli enigmi e ritornano a volare al 'vincerò' di 'Nessun dorma') ma che trovava sicura affinità con i misuratissimi - volutamente astratti e rituali - movimenti in scena. Karytinos, dal canto suo, ha dato vita a questa complessa partitura attraverso colori musicali densi, pregnanti nel delineare le atmosfere tipiche di queste pagine, assecondato da un'orchestra della Fondazione Toscanini attenta. Una lettura che all'uso a tratti eccessivamente effettistico del pieno orchestrale alternava istanti di interessante attenzione dinamica che impreziosivano una conduzione sostanzialmente funzionale. Nella compagine vocale, Francesca Patanè nel ruolo del titolo ha ribadito la capacità interpretativa sicura che la caratterizza, trasformando attraverso il suo personalissimo timbro vocale l'odio di Turandot in disperata infelicità. Nicola Martinucci ha dato vita ad un Calaf con qualche screziatura vocale, mentre la Liù di Cristina Barbieri è risultata ben recitata ma, all'inizio, discontinua vocalmente. Adeguati i Ping, Pang, Pong di Bordogna, Floris e Cosentino. Prova non più che discreta del Coro del Teatro Comunale di Modena. Gli applausi del folto pubblico, seppure convinti, non hanno ecceduto in calore, soprattutto nei confronti del regista (peccato).
Note: Coproduzione Teatro Comunale di Modena, Teatro Comunale di Ferrara, Teatro Municipale di Piacenza. Nuovo all.
Interpreti: Turandot, principessa Francesca Patanè ; Altoum, imperatore Stefano Consolini; Timur, re tartaro spodestato Riccardo Ferrari; Calaf, principe ignoto, suo figlio Nicola Martinucci; Liù, giovane schiava Cristina Barbieri / Susanna Branchini; Ping, gran cancelliere Paolo Bordogna ; Pang, gran provveditore Gianluca Floris; Pong, gran cuciniere Alessandro Cosentino
Regia: Giuseppe Frigeni
Scene: Giuseppe Frigeni; Co-scenografa Lucia Goj
Costumi: Amelie Haas
Orchestra: Orchestra della Fondazione Arturo Toscanini
Direttore: Lukas Karytinos
Coro: Coro del Teatro Comunale di Modena
Maestro Coro: Stefano Colò