Carmen, lo sappiamo, è opera tanto celebre e conosciuta quanto complessa, sia per le tessiture vocali che impegnano i vari protagonisti sia per gli equilibri musicali affidati all'orchestra e che trovano tra le pieghe di questa partitura momenti di fascino assoluto. Ma vi sono altri elementi che fanno di ogni nuovo allestimento di questa opéra-comique di Bizet una scommessa assolutamente non scontata, a prescindere dalla popolarità planetaria delle sue melodie. Si tratta inanzitutto di far trasparire una drammaturgia complessa - tra i ripensamenti parigini dell'autore, i rimaneggiamenti viennesi di Giraud e l'edizione "critica" di Oeser - che intreccia le personalità precise di molti personaggi, gli scorci corali, pantomimici e così via, su cui si staglia il profilo della protagonista, eroina modernissima e sfaccettata, forte e delicata, simbolo di una passionalità tutta femminile, che porta in se tutte le contrddizioni di una volontà impulsiva e di un coraggio irrazionale. Un carattere il cui fascino completo si scopre inevitabilmente alla morte di Carmen, in quell'ultimo atto irragionevole ed estremo (ma di per se addirittura scontato) compiuto da un amante abbandonato, una tragedia che ci sorprende sempre per la sua ineluttabilità. In questo sensopuò non apparire così fuori luogo parafrasare, con "En attendantCarmen", un titolo classico del teatro di Beckett, per descrivere la lunga metamorfosi che il personaggio-Carmen subisce nel corso dei quattro atti, ma che nella nuova messa in scena proposta dal Teatro Regio di Parma ha trovato una lettura più defilata. Si è trattato di un allestimento in cui la regia di Mario Corradi ha optato per una omogenea e lineare funzionalità di intenti, senza addentrarsi nella complessità dell'opera, restando su una superficie in linea con le scene complete - una Siviglia quasi "messicana" nonostante i riferimenti architettonici alla città spagnola - ma non più che descrittive di Maria Luisa Curatolo e i costumi variopinti e spesso piacevoli (escludendo le divise militari) di Francesca Pipi. Julian Reynolds alla guida dell'Orchestra del Teatro Regio non ha brillato per originalità, proponendo una lettura quasi distaccata, priva di quel trasporto che trasforma questa partitura in un dolce e coinvolgente vortice musicale. Un dato che si è riverberato anche sul palcoscenico, dove i cantanti vestivano i panni dei protagonisti, ma senza trasmetterci l'essenza del personaggio. Unica eccezione va forse fatta per Michele Pertusi, un Escamillo autorevole che conferma le grandi doti di attore di questo interprete. Per quanto riguarda Luciana D'Intino, la sua voce carica di personalità ha dato corpo ad una Carmen , possiamo dire, "tutta d'un pezzo", monolitica nella sua caratterizzazione. William Joyner nei panni di Don Josè ha mostrato interessanti doti vocali, limitate da una capacità interpretativa certamente ancora da affinare. Nella norma tutti gli altri. Aprezzabile la prova del Coro - preparato da Martino Faggiani - e delle voci bianche di Silvia Rossi. Spettacolo comunque calorosamente apprezzato alla fine dal folto pubblico, investito di luce e grandi coriandoli in occasione del corteo dei toreri che hanno sfilato in platea.
Note: Nuova produzione
Interpreti: D'Intino, Orciani, Rossi, Belfiore, Joyner, Pertusi, Ciuffo, Giannino, Leoni, Ribis
Regia: Mario Corradi
Scene: Maria Luisa Curatolo
Costumi: Francesca Pipi
Coreografo: Marco Pelle
Orchestra: Orchestra del Teatro Regio di Parma
Direttore: Julian Reynolds
Coro: Coro del Teatro Regio di Parma
Maestro Coro: Martino Faggiani