La Norma di Jessica Pratt conquista la Scala

Grande successo per il soprano australiano chiamato a sostituire Rebeka nell’ultima recita

Norma (Foto Brescia e Amisano)
Norma (Foto Brescia e Amisano)
Recensione
classica
Milano, Teatro alla Scala
Norma
27 Giugno 2025 - 17 Luglio 2025

L’ultima recita di Norma alla Scala conclude il ritorno a casa, dopo quarantotto anni, del capolavoro di Bellini. In quest’occasione, a interpretare il ruolo del titolo è stato il soprano australiano Jessica Pratt, chiamata (appena ventiquattro ore prima) a sostituire l’indisposta Marina Rebeka. 

Che dire della prova di Pratt, se non confermare quanto già di buonissimo riscontrato ascoltandola al Maggio Musicale Fiorentino a marzo di quest’anno, quando ha debuttato il ruolo della sacerdotessa druidica? Evidentemente, accingendosi a fornire un giudizio della prova vocale di uno dei punti di riferimento internazionali per il repertorio del Belcanto, occorre ponderare l’impossibilità per la cantante – considerato il poco preavviso con cui è stata chiamata sul palco del Piermarini – di effettuare le necessarie e numerose ore di prove che un ruolo tecnicamente difficilissimo come quello di Norma richiederebbe. Pertanto, non stupisce che al termine della recita Pratt sia giunta fisicamente un po’ sfiancata, soprattutto se si rammenta che lo spettacolo, innanzitutto dal punto di vista musicale, sia stato costruito e a lungo provato sulla voce di Rebeka, effettivamente alquanto diversa da quella di Pratt. 

Eppure, il soprano australiano ha conquistato ugualmente il pubblico scaligero, in particolare durante il primo atto, fornendo una prova a dir poco strabiliante. Lo si evince già a partire dalla straordinaria resa della celebre Casta Diva – eseguita, su richiesta della stessa Pratt e proprio come a Firenze, nella tonalità originale di Sol Maggiore –, in cui la cantante ha sfoderato un’assai matura capacità interpretativa, restituendo alla perfezione, grazie all’ottima intonazione e allo sbalorditivo controllo del fiato, il carattere misticamente estatico dell’aria, che risplende in tutta la sua lunare emotività. A raddoppiare il trionfo è stata, subito dopo, la cabaletta Ah! Bello a me ritorna, che Pratt ha fatto brillare nelle turbinose colorature e nei sublimi acuti delle travolgenti variazioni: un’esecuzione memorabile, che conferma lo stato di stella mondiale del Belcanto del soprano australiano. Inoltre, a convincere pienamente è l’aderenza tra il canto e la recitazione con cui Pratt interpreta Norma: la costante oscillazione emotiva del personaggio è stata resa efficacemente con la felice alternanza di soavi mezzevoci e acuti svettanti, come si nota in particolare nei vocalmente tortuosi duetti che costellano tutta l’opera. Pertanto, a fronte di una prova maiuscola, destinata a lanciare – una volta acquisita maggiore esperienza con il ruolo – la Norma di Pratt (che ha già l’aura del classico) nell’olimpo del Belcanto e considerato il contesto particolare dell’esibizione, si perdonano quelle poche e piccole imprecisioni nei registri grave e centrale. 

Il resto del cast conferma il buon rendimento delle recite precedenti. Vasilisa Berzhanskaya (Adalgisa), dal timbro gentile e luminoso e dall’emissione poderosa, sconvolge per la perfezione dell’intonazione e del fraseggio. Freddie De Tommaso (Pollione), sebbene non raffinato belcantista, convince con il sufficiente squillo del registro acuto e con la buona gestione di quello centrale. Michele Pertusi (Oroveso) conferisce al capo dei Druidi una credibile ieraticità attraverso un’ammirevole prova vocale e interpretativa, che conferma la profonda esperienza e professionalità di un veterano del palcoscenico. Un plauso anche agli intonatissimi Laura Lolita Peresivana (Clotilde) e Paolo Antognetti (Flavio), che chiudono un cast davvero di alto livello.

Sul podio Fabio Luisi, che dirige senza guizzi, ma con una buona gestione delle dinamiche e dei ritmi, la corretta esecuzione dell’Orchestra del Teatro alla Scala, compagine che è sempre un piacere ascoltare. Semplicemente magistrale la performance del coro, preparato da Alberto Malazzi.

Infine, peccato per la monotona, incongrua e a tratti incomprensibile (che non ci fosse, effettivamente, nulla da capire?) regia risorgimentale di Olivier Py, che neanche il piacevole gioco prospettico e l’ordinata simmetria delle imponenti scenografie (Pierre-André Weitz) sono riuscite a salvare. Inoltre, risultava eccessivamente fastidioso udire, durante i momenti musicalmente più riflessivi, lo spiacevole scricchiolio del movimento della piattaforma girevole su cui era impostato l’intero allestimento.

Grande successo per tutti anche al termine dell’ultima recita, con picchi di autentico entusiasmo da parte del pubblico per Pratt e Berzhanskaya.

 

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