Un capolavoro di Haydn e un’esecuzione esemplare
Roma: il Quartetto Eos e Le ultime sette parole di Cristo sulla Croce

L’Anno Santo ha portato un leggero ma comunque percepibile incremento dei concerti di musica sacra nelle chiese di Roma. Non sempre questi concerti sono in grado di soddisfare un musicofilo esigente, ma alcuni sì, come quelli del Festival di Musica Sacra “Salve Regina”, che si concluderà il 24 maggio proprio con i Salve Regina di Domenico Scarlatti e Pergolesi. Il secondo concerto di questo festival si è svolto nella chiesa di Santa Bibiana, che oltre alle sue bellezze artistiche - risale al quarto secolo, poi vi mise la mani Gian Lorenzo Bernini, anche autore della statua della di Santa Bibiana sull’altar maggiore, mentre Pietro da Cortona dipinse gli affreschi con episodi della vita ella santa - ha il raro pregio di un’acustica ideale per un quartetto d’archi.
Era un concerto imperdibile per due ottime ragioni, perché suonava il Quartetto Eos, una formazione giovane di cui altre volte ho avuto modo di apprezzare le qualità fuori dall’ordinario , e perché dava la possibilità di ascoltare un capolavoro di rara esecuzione, Le ultime sette parole di Cristo sulla Croce, che Joseph Haydn scrisse su commissione di una chiesa di Cadice. Questa musica era destinata ad una particolare liturgia del venerdì santo, quando ognuna delle ultime sette parole (più precisamente sono sette brevi frasi) di Gesù sulla croce veniva letta dal pulpito e commentata dal celebrante, dopo di che celebrante e fedeli si raccoglievano per alcuni minuti in preghiera, mentre nel silenzio risuonava la musica. Haydn compose dunque un’introduzione e sette brani, tutti in tempo lento, e suggellò il tutto con un breve e agitato brano, corrispondente al terremoto che, secondo la narrazione dei Vangeli, scosse la terra subito dopo la morte di Cristo. Questa composizione del 1786 - dunque ascrivibile alla piena maturità di Haydn - suscitò grande interesse ed apprezzamento, tantoché richiesti a Haydn vari adattamenti per adeguare questa musica alle esigenze di diversi committenti: nacquero così le versioni per quartetto d’archi e per coro e orchestra della versione originale per orchestra (esiste anche una versione per uno strumento a tastiera, che non è di sua mano ma fu da lui autorizzata).
Un concerto che inanella otto movimenti in tempo lento e solo un breve Presto, potrebbe essere a forte rischio di monotonia, soprattutto quando la varietà di colori dell’orchestra è sostituita dal timbro fondamentalmente monocromo di quattro strumenti ad arco. Ma qui entra in campo il Quartetto Eos, che ha eseguito le Sette ultime parole con una maturità che è assolutamente straordinaria per un ensemble così giovane e che si si riscontra raramente anche in quartetti di ben maggiore esperienza. E non ci riferiamo soltanto all’à plomb e al bilanciamento perfetti tra i quattro strumentisti né alla nitida precisione dei dettagli, ognuno dei quali aveva il giusto risalto ma senza mai “sforare”. Quel che più colpiva era la profondità della loro interpretazione, che ha dato a questi otto movimenti lenti un’energia interiore e una capacità di trasmettere emozioni e sentimenti che non si erano riscontrate nelle esecuzioni di altri ensemble. A leggere i testi era Alice Chiesa, voce recitante.
Questa interpretazione metteva in risalto come Haydn avesse scritto le prime battute di ogni “parola” esattamente sulla prosodia di quelle brevi frasi in latino, come se dovessero essere cantate dalla voce umana. E a partire da quegli incipit, carichi di drammaticità, affetto, speranza e dolore, si sviluppava ogni singolo movimento, che acquistava così un pathos che conserva qualcosa della fase Sturm und Drang di Haydn e che resta in ombra in esecuzioni più formali, compassate ed espressivamente neutre. Invece con il Quartetto Eos la prima “parola” (Pater, dimitte illis quia nesciunt quid faciunt) rivela la sollecitudine e l’amore di Gesù verso i suoi aguzzini e l’umanità intera. E la “parola” successiva (Hodie mecum eris in Paradiso) si apre alla speranza e alla gioia, anche in un frangente così atroce. E così via per ogni movimento. La scelta di tempi quasi sempre leggermente più veloci di quelli indicati da Haydn non doveva essere casuale, anzi era molto avveduta, perché faceva sì che la sonorità austera del quartetto diventasse energica e pregnante come quella dell’orchestra (alquanto ampia per quei tempi) per la quale Haydn aveva scritto la versione originale.
La chiesa, di dimensioni relativamente ridotte, era piena come un uovo e tutti gli ascoltatori hanno mantenuto un silenzio assoluto, che rivelava la grande attenzione e partecipazione con cui hanno seguito questa magnifica esecuzione di un capolavoro anomalo, come confermavano anche i sonori e convinti applausi finali. Il Quartetto Eos, come per dimostrare quanta ricchezza è contenuta nei movimenti lenti di Haydn, ne ha aggiunto un altro agli otto appena ascoltati: era l’Adagio del Quartetto op. 20 n. 5, una cullante, dolce e malinconica Siciliana.
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