Un mantra musicale e visivo sull’Antropocene
Applausi a Ravenna Festival per l’intensa tre-giorni dedicata alla trilogia Quatsi di Philip Glass e Godfrey Reggio
Operazione impegnativa sotto diversi punti di vista – dalla complessità della produzione alla originalità della proposta, fino alla particolarità della fruizione – è andata in scena nell’ambito di Ravenna Festival 2024 la trilogia Quatsi di Philip Glass e Godfrey Reggio. Si è trattato di una vera e propria maratona che ha offerto in tre serate consecutive la proiezione dei film Koyaanisqatsi, Powaqqatsi e Naqoyqatsi firmati dalla regia di Reggio e qui commentati dalla musica di Glass suonata dal vivo, con la proposta in prima mondiale dell’arrangiamento per orchestra della colonna sonora del più recente Naqoyqatsi commissionato da Ravenna Festival, Barbican di Londra, Mupa di Budapest e The National Concert Hall di Dublino.
Protagonista della parte musicale in tutte e tre le tappe il Philip Glass Ensemble – storica formazione creata dal compositore di Baltimora nel 1968 e in questa occasione animata da Lisa Bielawa (voce, tastiere), Mick Rossi (tastiere), Peter Hess (sassofoni), Sam Sadigursky (sassofono, flauto), Andrew Sterman (flauto, ottavino, sassofono), oltre a Dan Bora (sound) e Ryan Kelly (onstage audio) – affiancato dall’ Orchestra della Toscana, entrambi diretti da Michael Riesman, anch’egli veterano tra i collaboratori di Glass e storica guida del PGE.
A completare la compagine strumentale variando di volta in volta il carattere timbrico dei commenti sonori ai tre lungometraggi erano impegnati rispettivamente in Koyaanisqatsi il Coro della Cattedrale di Siena Guido Chigi Saracini preparato da Lorenzo Donati, in Powaqqatsi il Coro di voci bianche dell’Accademia del Maggio preparato da Sara Matteucci, mentre in Naqoyqatsi protagonista era il violoncello di Erica Piccotti, chiamata a interpretare la parte solistica affidata in origine a Yo-Yo Ma.
Ideale rimando a una pratica antica che affonda le proprie radici alle origini dell’arte cinematografica, l’accompagnamento musicale dal vivo di un film appare oggi una scelta estetica ben precisa, tanto più quando applicata a pellicole come quelle di Reggio che rappresentano da un lato una via “sperimentale” all’arte cinematografica e, dall’altro lato, nascono potremmo dire in simbiosi con la musica di Glass, sia per i continui confronti e scambi tra gli autori sia per un metodo di lavoro che – eccezion fatta per la prima esperienza di Koyaanisqatsi dove il materiale visivo era già in buona parte realizzato prima del coinvolgimento del compositore – vede progredire in parallelo la creazione del materiale visivo e musicale.
Altro elemento che può apparire come una sorta di cortocircuito espressivo è che il pubblico seduto nelle poltrone del Tetro Alighieri in questa tre-giorni ha assistito alla proiezione di tre opere che rappresentano una riflessione sulla tecnologia creata dall’uomo e sul suo impatto sul pianeta. Una esplorazione, in altre parole, dei caratteri – a tratti anche inquietanti – di quell’Antropocene plasmato dall’attività umana osservato dalle tre differenti prospettive rappresentate, appunto, dalle tre tappe della trilogia Quatsi, ovvero la trilogia della vita (il termine qatsi è tratto dalla lingua degli indiani Hopi e significa, appunto, “vita”).
Significativa, in questo senso, la riflessione offerta dallo stesso Godfrey Reggio in merito al primo dei tre film della sua trilogia: «Credo che l’evento più significativo della nostra civiltà e della nostra storia sia passato praticamente inosservato: il passaggio dall’ambiente naturale alla tecnologia di massa, come habitat della vita dell’uomo. Da Homo Sapiens a Homo Technologicus. Koyaanisqatsi non è un film sugli effetti della tecnologia sulla vita dell’uomo, ma sulla sua trasformazione in ambiente di vita. La tecnologia ingloba ogni cosa: dalla politica al sistema scolastico, alla lingua, alla religione. L’uomo non usa la tecnologia: la vive, come l’aria che respira. Al punto da non essere più conscio della sua presenza».
Un punto di vista avallato dallo stesso Glass, che annota: «Godfrey dava voce a una visione potente, che oggi è forse presa per scontata ma che al tempo era piuttosto unica, ben lontana dallo stereotipo che denigra la tecnologia e idealizza gli stili di vita tradizionali. L’interazione fra tecnologia e stili di vita è certamente un tema su cui lui ha riflettuto e continua a riflettere molto, ma direi che ciò che rende il suo lavoro ancora più speciale è proprio l’assenza di preconcetti e pregiudizi che noi tutti tendiamo ad avere riguardo a temi di questo tipo».
Sulla base di questa prospettiva le tre serate ravennati hanno saputo quindi restituire i diversi caratteri dei tre lungometraggi, arricchendone la tensione espressiva attraverso un afflato musicale al tempo stesso fluido e dinamico, scaturito dalla rinnovata freschezza dello scorrere parallelo tra musica e immagini. Una materia timbrica composta dalla cifra affilata espressa dalle tastiere e dagli strumenti a fiato amplificati del PGE innestata nella massa strumentale espressa dalla compagine orchestrale, sfondo multiforme delle metamorfosi sonore che hanno caratterizzato le tre serate, a partire dal primo film Koyaanisqatsi - Life out of Balance (1982). Qui la presenza del coro di voci miste – rievocante in qualche misura la cifra timbrica impiegata da Philip Glass in precedenti progetti anche molto diversi tra loro come, tra gli altri, il lavoro di teatro musicale Einstein on the Beach (1976) o l’opera lirica Satyagraha (1980) – ha contrassegnato quel carattere tipico di una scrittura musicale che miscela stilemi compositivi antichi – la passacaglia, per esempio – a ripetute pulsioni ritmiche e reiterate litanie vocali che giocano ora per contrasto ora di rinforzo con la sequenza di immagini che alternano distese paesaggistiche naturali a contesti metropolitani, periferie decadenti a volti ripresi in primo piano di persone comuni, serpentoni luminosi di autostrade trafficate a scorci di razzi in orbita nello spazio.
Un impianto musicale che, se in Koyaanisqatsi rimane ancorato ad una matrice “meccanicistica” che rimanda all’emisfero nord del Pianeta, in Powaqqatsi - Life in Transformation (1988) si innerva di striature etnico-folcloriche quale ideale omaggio all’emisfero sud rievocando – grazie all’impiego del coro di voci bianche e agli intarsi melodico-armonici segnati da un uso più connotato delle percussioni – un’atmosfera più tematicamente immediata e melodicamente lineare.
Un carattere che viene reinventato ancora una volta in Naqoyqatsi - Life as War (2002), ultima tappa della trilogia che pone lo sguardo sul rapporto, originale ed inquietante al tempo stesso, tra “guerra” e “digitalizzazione”. La visione musicale di Glass, qui caratterizzata da una sorta di ritorno a un impianto acustico più distillato, è stata in questa occasione ben restituita dal nuovo arrangiamento orchestrale che ha amplificato da un lato le suggestioni armonico-strumentali che attraversano questa partitura, lasciando dall’altro lato il giusto spazio al suono del violoncello – plasmato con efficace impegno da Erica Piccotti – quale voce d’elezione per un tratteggio melodico disteso e riflessivo, capace di rivolgere uno sguardo – un ascolto – ancora umano verso un mondo in declino, condannato a una violenza civilizzata espressa da una deriva tecnologica globale.
In tutte e tre le serate il pubblico presente in buon numero ha salutato tutti gli artisti impegnati con lunghi, convinti e calorosi applausi, decretando un meritato successo a questa originale e impegnativa operazione.
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