A Bastille la “Vestale” nel Novecento

All’Opéra Bastille di Parigi la nuova produzione de La Vestale firmata dalla giovane regista statunitense Lydia Steier

La Vestale (foto Guergana Damianova/OnP)
La Vestale (foto Guergana Damianova/OnP)
Recensione
classica
Parigi, Opéra Bastille
La Vestale
15 Giugno 2024 - 11 Luglio 2024

Il fuoco sacro dedicato alla dea Vesta diventa un rogo perenne di libri, tutto è trasportato nel Novecento con le solite divise simil naziste, il tempio è una basilica la cui forma è ispirata dall’anfiteatro della Università  Sorbonne e le sacerdotesse quindi vestite come monache, il fulmine provvidenziale che salva Julia è ’apparizione di una di quelle Madonne che vengono portate in processione ancora oggi nel Sud Europa. La nuova attesa produzione de La Vestale è firmata dalla giovane regista statunitense Lydia Steier, già con al suo attivo molti lavori in area tedesca e la cui Salome alla Bastille, quest’anno ripresa, aveva già fatto discutere, ed adesso il suo allestimento dell’opera di Gaspare Spontini è stato pure contestato dopo la prima. Applausi meritati invece per le voci protagoniste, innanzitutto per il bari-tenore Michael Spyres davvero ottimo sia vocalmente che nella prestazione attoriale di Licinius, e brava anche il soprano Elodie Hache che alla premiére ha preso il posto all’ultimo minuto di Elza van den Heever per indisposizione di quest’ultima, cavandosela più che bene con un’interpretazione misurata, delicata ed elegante, più lirica che drammatica ma assai toccante lo stesso delle due famose arie “Licinio, io sto per rivederti” e poi  “Caro oggetto, il di cui nome”. Ottimo poi il coro, in quest’opera cosi importante, diretto da Ching-Lien Wu regala una delle sue migliori prove di questa stagione, l’impressione è che sia di gran lunga più a suo agio e preciso quando canta in francese. Precisione che deriva anche, evidentemente, dalla direzione attenta del maestro Bertrand de Billy pure salutato molto calorosamente dal pubblico che guida con cura artigianale l’Orchestra dell’Opera di Parigi in un’esecuzione preziosa della musica di Spontini.

La Vestale (foto Guergana Damianova/OnP)
La Vestale (foto Guergana Damianova/OnP)

La regista ha voluto fare della storia d’amore proibita tra l’eroe romano e la sacerdotessa di Vesta una denuncia dell’estremismo di tutte le religioni che si trasformano in fanatismo, ed anche dei legami tra potere militare e religioso, ma la realizzazione non è all’altezza dei propositi ed appare nel finale come una forzatura snaturante che cozza con il libretto e  la musica nata in un contesto di celebrazioni del periodo vittorioso di Napoleone.  Le scene di Étienne Pluss hanno un impianto interessante, all’apertura del sipario appare un alto muro, davanti cui si dispera Licinius, che poi si apre per svelare l’interno del tempio, movimento di apertura-chiusura che si ripete e ben aiuta a distinguere i diversi momenti pubblici e privati. Il ridicolo ed il trash arrivano però presto con la scena nel trionfo che conclude il primo atto con misere macchinette, carri da recite studentesche e prigionieri nudi a cui si taglia strisce di pelle. Stesso può dirsi dei costumi di Katharina Schlipfche con alcune scelte interessanti ma l’effetto generale è d’imitazione non ben riuscita delle vesti francesi al tempo dell’occupazione nazista, sopratutto per le scene di popolo. Ci sono anche dei video, di Étienne Guiol,  interventi minimi e discreti, e buone  in generale le luci di Valerio Tiberi. Quanto agli altri interpreti, il mezzosoprano Ève-Maud Hubeaux è la La Grande Vestale, imponente e militaresca all’inizio che poi sa mostrarsi empatica con la sua novizia;  bene anche il tenore Julien Behr come  Cinna, il soldato amico fraterno di Licinius qui reso biondo e dal carattere ambiguo;  perfetto per la parte il basso Jean Teitgen come pontefice sovrano  e piccola parte ben realizzata dal baritono Florent Mbia come capo degli aruspici. Molto godibili, in particolare, i duetti “L'amore che arde nella nostra anima” tra Licinio e  Giulia nel secondo atto e poi, nel terzo atto,  “Sei tu che tremerai” tra Licinio e il Sommo Sacerdote con Michel Spyres che sfodera tutta la sua bravura tecnica e artistica. Di forte impatto  anche il coro finale con tutti gli interpreti  che cantano “O terrore! O sventura!” prima dell’intervento della salvezza miracolosa, i due amanti possono partire felici insieme ma il precetto in latino che ha fatto capolino minaccioso in più momenti durante tutta l’opera “Talis est ordo deorum” pessimisticamente resta là.

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