Le ambiguità coloniali di Meyerbeer

Assente da oltre cent'anni a Venezia, "L'Africaine" apre con successo la nuova stagione

Recensione
classica
Gran Teatro La Fenice Venezia
Giacomo Meyerbeer
23 Novembre 2013
Apertura di stagione non convenzionale alla Fenice. Dopotutto L’Africaine di Meyerbeer a Venezia non si era mai vista nemmeno in tutto il Novecento. Inattuale e per certi aspetti attualissima, torna ora in un nuovo allestimento a cui da queste parti si tiene parecchio, con scene e costumi che delle eccellenze del Teatro sono il frutto. Inattuale come un grand opéra può essere nel 2013, ma ancora godibile nella trama e attuale nell’evidenziare le contraddizioni del colonialismo. I punti di forza dell’allestimento stanno certamente nel cast vocale (su tutti l’Inés di Jessica Pratt e un Gregory Kunde un po’ agée come giovane Vasco de Gama, ma eccellente sotto ogni profilo), negli scintillanti abbinamenti cromatici delle scene della seconda metà e alla fine nell’equilibrio tra drammatico e fiabesco che resta nell’aria. Leo Muscato fa muovere l’azione su un semplice piano inclinato che diventa prigione (con tanto di atroci esecuzioni sullo sfondo), ponte di nave assalito dai selvaggi, spiaggia stilizzata o mare dove si aggetta il promontorio su cui s’inebria e muore la sventurata regina Selika (una brava Veronica Simeoni). Semplice e efficace. Assai meno convincenti sono gli inserti video che aprono gli atti, quasi dei “cinegiornali” in cui scorrono immagini apertamente didascaliche su storia e conseguenze del colonialismo, tra miseria e multinazionali, esteticamente e in fondo anche sostanzialmente slegate dal resto. Il pubblico dell’anteprima risponde con grande calore nonostante la pioggia fredda che sferza la laguna, il mondanometro registra i suoi picchi nei due lunghi intervalli, con Ambra Angiolini e Aldo Busi che catalizzano gli sguardi nel foyer, il buon Vasco de Gama alla fine trova sempre qualcuna che si sacrifica per lui. Tutto come previsto.

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