La storia di un ex cane

Scala: Cuore di cane di Raskatov convince come spettacolo, meno come musica

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Alexander Raskatov
21 Marzo 2013
Prodotto dall'Opera di Amsterdam in colaborazione con la londinese Complice, la novità di Alexander Raskatov ha come merito principale l'essere uno spettacolo riuscitissimo, grazie alla regia di Simon McBurney (grottesca, elegante, arricchita dalle belle proiezioni di Finn Ross) e al libretto di Cesare Mazzonis che ha dato una calibratissima struttura drammaturgica al romanzo di Michail Bulgakov. Modificandone il finale rasserenante con l'apparizione di uno stuolo di zombies, canini o umani che siano, sudditi ideali di un potere stupido quanto asfissiante. La vicenda del cane che diventa uomo ed è riportato alle origini per cattiva condotta, oltre a essere uno sberleffo al regime sovietico e un monito all'onnipotenza della scienza, nasconde tra le righe una tesi pesante da accettare, specie negli anni di Bulgakov, i pericoli che nasconde l'aspirazione al salto di classe. Tutto ciò avrebbe francamente meritato una musica altrettanto complessa, soprattutto variegata. Invece, tranne l'inizio del secondo atto con il coro dei colleghi di Filippovic (l'ottimo Paulo Szot) e la sgangherata ballata con balalaika di Sarikov (lo scatenato Peter Hoare, impunito perfetto come ex cane), la partitura si riduce a cellule che intervallano il canto, di gradevole orchestrazione ma senza mai un guizzo né un disegno che sostenga pienamente la vicenda. Sembra quasi una composizione datata anni Settanta. Mentre in scena tutto funziona alla perfezione. Bellissimo e toccante il cane-marionetta mosso da tre animatori, prima scheletrico poi in carne, e interpretato da due voci diverse, un soprano rauco e latrante (Elena Vassilieva che usa il megafono) e un controtenore (il bravo Andrew Watts). Quest'ultimo impegnato anche in controscene, come quando sdraiato per terra si lascia accarezzare la pancia dall'animatrice che con l'altra mano sta accarezzando il cane. Personaggio per altro commovente quando evoca la disgrazia di esser nato randagio. Qualche defezione in platea dopo il primo atto e al termine applausi contenuti, con qualche incivile latrato dal loggione. Per quanto musicalmente non del tutto convincenti od ostiche, opere del genere fanno comunque bene al pubblico della Scala.

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