Un affascinante dialogo a distanza con Scarlatti fra esecuzione e invenzione
Pieranunzi porta con successo il "suo" Domenico Scarlatti a Napoli
Recensione
classica
Dopo essere stato portato per tre anni in tournée per l’Europa ed essere stato immortalato in cd, lo Scarlatti di Enrico Pieranunzi arriva infine a Napoli, città natale del grande compositore. Presenza distesa e anti-divistica, lontana dai codici comportamentali ancora consueti nelle stagioni sinfonico-cameristiche, Pieranunzi suona e parla con il pubblico alzandosi di tanto in tanto dal pianoforte e proponendo il suo racconto - ora in chiave personale, ora in chiave aneddotica - della vicenda scarlattiana. Il dialogo più interessante è però quello che egli intesse con i celeberrimi “essercizi”, seguendo strade di volta in volta diverse sul confine fra esecuzione e invenzione. In certi casi dalla proposta integrale o parziale di una Sonata si avvia un percorso di allontanamento progressivo; in altri casi, al contrario, l’improvvisazione liberissima lascia emergere gradualmente la sostanza tematica del testo di partenza, pronto poi nuovamente a dissolversi; ora sembra quasi di avere davanti una parafrasi lisztiana nella quale più frammenti sono accostati insieme, ora invece si ascoltano pezzi originali in qualche modo ispirati dallo stile di Scarlatti. E’ un’operazione di grandissimo interesse per la quale sarebbe riduttivo parlare di un approccio semplicemente “jazzistico”; intanto perché i processi di variazione quasi mai seguono tracciati ricorrenti a moduli ritmico-melodici della tradizione afro-americana. Inoltre è evidente che dalla frequentazione con i testi del passato viene a Pieranunzi un modo di toccare il pianoforte in cui linee maestre e nuclei concettuali emergono sempre con estrema chiarezza, portandolo, quando si mette d’impegno, a sfoderare giochi timbrici che non hanno nulla da invidiare ad alcune celeberrime interpretazioni del pianismo classico.
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