L'Armonia di Prospero alla Scala

Un melologo di Vacchi e un inedito Mendelssohn in una serata da grandi occasioni

Recensione
classica
Teatro alla Scala
23 Marzo 2009
Doppia novità mondiale alla Scala. Il melologo di Fabio Vacchi e la "Riforma" di Mendelssohn nella prima versione, riscoperta da Christopher Hogwood. In "Prospero, o dell'Armonia”, ispirato al monologo finale della "Tempesta” scespiriana, Vacchi alterna momenti di inquieta sospensione (come il misterioso preludio che lascia fantasticare un'isola di incantamenti), momenti sognanti, maestosi, arguti. Una partitura variegata, affidata a un grande organico con ricco parco-percussioni, eppure dalla scrittura chiarissima. La complessità (vedi la danza ispirata a ritmi turchi) non è mai a discapito della trasparenza, merito anche della Filarmonica che ha dimostrato un complice entusiasmo, al pari di Chailly. Fra i passaggi, che vorremmo sentire e risentire, le eteree epifanie di Ariel e il finale mahleriano che corona l'apologo sull'armonia musicale e sociale. Nella concezione musicale di Vacchi è nascosta un'energia drammaturgica che qui assume lineamenti di grande efficacia. Tanto multiforme la partitura, quanto monocorde è stato l'esito sonoro della voce recitante, sia per colpa dell'amplificazione sia per il declamato troppo compiaciuto di Ferdinando Bruni, che pure nel 2004 aveva inventato una "Tempesta” esemplare, con tanti pupazzi al servizio di Prospero. Nel melologo di Vacchi la voce non sempre interviene sul silenzio, sono più di 40 le commistioni con l'organico che le affidano un ruolo di strumento. Ma, per la gratuita enfasi dell'attore, è risultata spesso invadente e impastata all'ascolto. Quanto all'inedita "Quinta” di Mendelssohn (abbinata a "Le Ebridi”, edizione 1830), Chailly ne ha dato una lettura vigorosa e precisa. Regalando nell'ultimo tempo due "nuovi" minuti di un maestoso contrappunto bachiano, che ribadiscono la severità luterana della sinfonia.

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