Successo di Teneke di Fabio Vacchi alla Scala
Prima di Teneke, la novità di Fabio Vacchi alla Scala, con la direzione di Roberto Abbado, la regia di Ermanno Olmi e le scene di Arnaldo Pomodoro
Recensione
classica
Festa grande alla Scala per la prima mondiale di Teneke, la nuova opera di Fabio Vacchi. Quanti hanno consuetudine con la sua musica, qui si trovano a loro agio, anche se rimangono sorpresi dall'accentuata drammatizzazione che nasce proprio dall'orchestra, dalle sonorità violente o sognanti, da certe cattiverie timbriche. Nel complicato evolversi della costruzione musicale, hanno immediata evidenza i grandi afffreschi corali, anche quelle dei dodici proprietari terrieri (Teneke è realmente opera corale), che non hanno funzione di intermezzo o commento, ma di azione teatrale vera e propria; e soprattutto le due parti femminili. Tenera e fermamente lucida, con una vocalità eterea, Nemrin (la fidanzata assente del protagonista) e la forte e determinata Zeyno, impegnata in impervie esplosioni di voce: entrambe interpretate da cantanti di rango, Rachel Harnisch e Anna Smirnova. Più segreti alcuni risvolti compositivi, che meglio traspariranno nel rialscoltare l'opera, come l'uso della parodia per illustrare una situazione tragica (talora con tempi di valzer); l'aggressivo canto friulano che crea il momento della ribellione dei contadini, guidata da Zeyno; i fulminei ammiccamenti a temi popolareschi, più inventati di sana pianta che citati o l'elegante concertato di stampo rossiniano all'inizio del terzo atto. La direzione di Roberto Abbado ha sottolineato ogni istante con analitica precisione e carica emotiva, perfettamente assecondato da un orchestra in ottima serata.
In tanta complessità le scene di Pomodoro rappresentano un elemento importantissimo e complementare. Si tratta di una montagna-scultura, con terrazzamenti per le risaie, che a un tratto esondano, creando una impressionante cascata d'acqua, con effetto bellissimo. Al centro uno scuro parallelepipedo che serve da luogo di raduno, casa e ufficio del prefetto, deposito di masserizie salvate dall'inondazione. Spiace soltanto che il teatro non abbia consentito all'artista di realizzare l'ultima metamorfosi plastica prevista per il finale dell'opera (unicamente sinfonico, principalmente strutturato sul ritmo), un gorgo di fango che tutto doveva inghiottire (il bozzetto è rimasto nel programma di sala). La regia di Olmi ha seguito rispettosamente l'intreccio, creando controscene contadine, talvolta con alcune staticità delle masse corali, in realtà determinate dalla tremenda pendenza e impraticabilità del fianco della montagna. Sorprendente e provocatoria l'ultima scena con il Curdo che imbraccia il mitra: visto che la legge non conta più per nessuno, non resta che imbracciare le armi.
Nel complesso un grande e riuscito spettacolo, che il pubblico ha salutato con entusiasmo. Il che, trattandosi di un'opera contemporanea, di non facilissimo ascolto, non può che far piacere.
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