Le due facce di Foscari

Lettura stringata di Muti, per uno spettacolo dominato dominato da Leo Nucci. Fischi e insulti alla fine del Primo atto, seguiti dal pentimento del trionfo finale. Regia poco incisiva.

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Giuseppe Verdi
13 Maggio 2003
Prima qualche insulto urlato dal loggione alla fine della cavatina di Lucrezia, poi una salva di fischi, che si tramutano un boato alla fine del primo atto, tanto da far allontanare visibilmente indispettito Riccardo Muti. Eppure ciò che si era sentito fino ad allora non si allontanava molto dal verbo verdiano recitato da anni con regolarità alla Scala. Tempi stringati e impietosi, cabalette muscolari attaccate dall'orchestra con una potenza sonora impressionante (assurda nell'aria di Jacopo del I atto), improvvisi ritardando subito richiusi con gesto imperioso, poco spazio alla magia, scarsa ricerca di sfumatura. Ma i fischi non sembravano tanto per Muti (a giudicare dal trionfo con cui sarà accolto nel II atto), quanto per la Lucrezia di Dimitra Theodossiu, poco elegante, tendente a caricare ogni nota di una tensione e di un volume eccessivi, più a proprio agio nel canto di potenza che in quello d'agilità. Il tenore dominicano Francisco Casanova – promosso alla prima compagnia a causa dei problemi di salute che hanno colpito Aquiles Machado – sfoggia un bel timbro, ma in una voce piuttosto dura e poco incline alla delicatezza; tuttavia ha sostenuto il suo ruolo con sicurezza e grande professionalità. Il mattatore della serata è stato Leo Nucci, che nonostante qualche stanchezza nella voce ha saputo sfruttare lo straordinario finale che Verdi ha scritto per il Doge Foscari: l'eleganza del fraseggio e l'intelligenza della sfumatura, unite al suono pieno e timbrato hanno strappato un interminabile applauso alla fine di "Questa è dunque l'iniqua mercede", con quelle splendide, rabbiose e disperate invocazioni "ridatemi il figlio", commoventi fino allo spasimo. Altissimo il livello interpretativo ed esecutivo del coro, pur in un'opera che non gli destina pagine mirabili; peccato per l'abitudine di farlo cantare sempre schierato in proscenio, con gli occhi appesi alla magica bacchetta: nell'unica scena in cui si trova in una posizione degna di uno spettacolo contemporaneo, e cioè nella scena del Consiglio dei Dieci, dimostra di non avere alcun bisogno di tanta tutela. I concertati, e in particolare quello, splendido, che chiude il II atto, sono stati i momenti musicalmente più rilevanti della serata: lì davvero Muti dà il meglio, comunicando entusiasmo e sicurezza all'ottima orchestra e a tutte le parti coinvolte, tenute insieme con maestria assoluta; in quei momenti, la sua capacità di innervare la vaste masse sonore e di conferire al loro slancio un vero rilievo drammatico mostra di essere senza paragoni sulla scena musicale odierna. Piuttosto convenzionale la regia di Cesare Lievi, limitata a ingressi, posizioni e uscite, con poche idee e, a giudicare dai risultati, scarsissimo lavoro sui cantanti; l'equazione Venezia-prigione, ossessivamente ricercata attraverso inferriate e sbarre che alternativamente chiudono e aprono finestre e porte, le inquietanti figure in domino nero e maschera a simbolizzare l'oppressione e il controllo della legge, la grande e tetra nave che entra in scena nel finale sono le tracce di una interpretazione appena abbozzata, aiutata dalle scene e i costumi di Maurizio Balò, ma apparentemente non raccolta né portata a fondo da alcuno. Lunghissimi applausi e trionfo per tutti alla fine dell'opera: contestatori convinti, pentiti o indifferenti? Sembrerebbe quasi che la coscienza critica del pubblico subisca un brusco offuscamento dopo l'ora in cui, nelle redazioni, si chiudono le pagine dei quotidiani.

Note: nuovo all.

Interpreti: Leo Nucci, Dimitra Theodossiu, Francisco Casanova, Giorgio Giuseppini, Tiziana Tramonti, Antonello Ceron, Gregory Bonfatti, Ernesto Panariello

Regia: Cesare Lievi

Scene: Maurizio Balò

Costumi: Maurizio Balò

Orchestra: Orchestra del Teatro alla Scala

Direttore: Riccardo Muti

Coro: Coro del Teatro alla Scala

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

A Colonia l’Orlando di Händel tratta dall’Ariosto e l’Orlando di Virginia Woolf si fondono nel singolare allestimento firmato da Rafael Villalobos con Xavier Sabata protagonista 

classica

Jonas  di Carissimi e Vanitas  di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento

classica

Napoli: Dvorak apre il San Carlo