Lo scandaloso shopping di Pereira
Continuano le polemiche per gli acquisti per la Scala dal Festival di Salisburgo che dirigeva
Recensione
classica
Da giorni impazza lo scandalo: Pereira svuota le casse della Scala per ripianare il probabile deficit che avrebbe lasciato a Salisburgo. Ne ha scritto per prima Rebecca Schmid alla fine di marzo nel sito “MusicalAmerica.com”, attaccando frontalmente il futuro sovrintendente scaligero e lanciando l’oltraggiosa accusa: «Pereira usa la Scala per tirar fuori dai debiti Salisburgo» e parlando apertamente di conflitto di interessi. Qualche giorno dopo la stampa austriaca insiste soprattutto sui benefici contabili dell’operazione: lo shopping salisburghese da 1,2 milioni di euro di Alexander Pereira non solo ha ripianato il paventato rosso provocato dalla sua “opulenta programmazione”, ma ha permesso al festival di chiudere con un saldo attivo. Cosa che fa dire con sollievo a Helga Rabl-Stadler, Presidente della Fondazione del Festival di Salisburgo: «Si potrebbe anche dire che Pereira ha risolto il problema che egli stesso ha causato», cui fanno eco le parole del governatore della regione di Salisburgo e Presidente del Consiglio di Amministrazione della Fondazione, il democristiano Wilfried Haslauer: «il Signor Pereira riesce a evitare un probabile fardello del suo opulentissimo repertorio, portando con sé a Milano alcune delle sue produzioni». Passa ancora qualche giorno e “la Repubblica” accende la polemica in patria.
Le sei o sette produzioni comprenderebbero il Don Carlo firmato da Peter Stein, i wagneriani Meistersinger con la regia di Stefan Herheim e il Lucio Silla firmato da Marshall Pynkoski, il Falstaff ambientato nella milanese Casa di riposo per artisti Giuseppe Verdi da Damiano Michieletto e il Rosenkavalier che Robert Carsen sta preparando per la prossima estate, nonché la novità di György Kurtág Finale di partita. Tutte produzioni di elevato interesse, anche se da Salisburgo fanno sapere che non intendeva riproporle in future edizioni dopo l’uscita di Pereira dalla guida del Festival. Da quanto si sa, le produzioni sarebbero spalmate su più stagioni, ridimensionando quindi i timori che la massima scena d’opera nazionale diventi una succursale di Salisburgo: secondo indiscrezioni, la prossima stagione comprenderebbe un buon numero di riprese di allestimenti scaligeri doc (fra questi gli inossidabili Barbiere di Ponnelle e Bohème di Zeffirelli, e poi Carmen di Emma Dante, Cavalleria rusticana di Martone, l’Elisir d’amore con le scene di Tullio Pericoli e le recenti Tosca e Lucia di Lammermoor), una coproduzione con Salisburgo non sospetta (il bellissimo Die Soldaten con la regia di Alvis Hermanis, decisa sotto la gestione Lissner).
Va detto che, specialmente nei teatri di repertorio dei paesi germanofoni, è in uso una sorta di “spoil sistem”, ben noto a chi segue da vicino l’attività di quei teatri: quando un sovrintendente lascia, molti degli spettacoli prodotti sotto la sua gestione sono destinati a sparire dalla programmazione. Per quanto la scelta possa lasciare spazio a perplessità sul piano etico, è piuttosto accettato che il sovrintendente metta la propria firma alle sue stagioni anche attraverso gli spettacoli migliori prodotti nelle precedenti esperienze gestionali-artistiche. Il percorso professionale di Gérard Mortier è assolutamente “esemplare”, a questo proposito.
Molti punti rimangono oscuri e c’è da augurarsi che la relazione dettagliata richiesta oggi 15 aprile dal Ministro italiano per i Beni e le attività culturali, Dario Franceschini, aiuti a chiarirli. Certamente lascia sorpresi lo stupore e l’indignazione del Sindaco di Milano Giualiano Pisapia, massimo rappresentante di quel consiglio d’indirizzo (ex c.d.a.) cui la Legge Bray assegna un fondamentale ruolo di guida dell’azione del sovrintendente (o del “consulente tecnico” come risulta Pereira fino al prossimo settembre). L’attività di Pereira, come quella di qualunque altro manager culturale, è per intrinseca natura pubblica: nessuno si è accorto di un’eccessiva concentrazione di produzioni salisburghesi in fase di presentazione della prossima stagione? C’è qualcuno in consiglio che ha manifestato qualche perplessità su un eventuale scarso peso delle risorse produttive interne (in primis i suoi straordinari laboratori di scenografia e costumi), soprattutto nella stagione dell’Expo, momento fondamentale per sprigionare e promuovere il meglio delle forze creative e produttive nazionali?
C’è soprattutto da sperare che il Ministro, con le decisioni che riterrà opportuno prendere, censurando eventuali abusi e colpevoli omissioni se necessario, rifletta sul fatto che La Scala – come in fondo tutta l’Italia – ha da troppo tempo ormai perso il suo ruolo di riferimento nel teatro musicale e, più in generale, nella cultura europea. Che tali decisioni riescano a invertire questa tendenza e a imporre un rilancio deciso all’azione e all’immagine di quel teatro nel mondo è la vera sfida. Il successo della sua azione sarà soprattutto giudicato su questo.
Le sei o sette produzioni comprenderebbero il Don Carlo firmato da Peter Stein, i wagneriani Meistersinger con la regia di Stefan Herheim e il Lucio Silla firmato da Marshall Pynkoski, il Falstaff ambientato nella milanese Casa di riposo per artisti Giuseppe Verdi da Damiano Michieletto e il Rosenkavalier che Robert Carsen sta preparando per la prossima estate, nonché la novità di György Kurtág Finale di partita. Tutte produzioni di elevato interesse, anche se da Salisburgo fanno sapere che non intendeva riproporle in future edizioni dopo l’uscita di Pereira dalla guida del Festival. Da quanto si sa, le produzioni sarebbero spalmate su più stagioni, ridimensionando quindi i timori che la massima scena d’opera nazionale diventi una succursale di Salisburgo: secondo indiscrezioni, la prossima stagione comprenderebbe un buon numero di riprese di allestimenti scaligeri doc (fra questi gli inossidabili Barbiere di Ponnelle e Bohème di Zeffirelli, e poi Carmen di Emma Dante, Cavalleria rusticana di Martone, l’Elisir d’amore con le scene di Tullio Pericoli e le recenti Tosca e Lucia di Lammermoor), una coproduzione con Salisburgo non sospetta (il bellissimo Die Soldaten con la regia di Alvis Hermanis, decisa sotto la gestione Lissner).
Va detto che, specialmente nei teatri di repertorio dei paesi germanofoni, è in uso una sorta di “spoil sistem”, ben noto a chi segue da vicino l’attività di quei teatri: quando un sovrintendente lascia, molti degli spettacoli prodotti sotto la sua gestione sono destinati a sparire dalla programmazione. Per quanto la scelta possa lasciare spazio a perplessità sul piano etico, è piuttosto accettato che il sovrintendente metta la propria firma alle sue stagioni anche attraverso gli spettacoli migliori prodotti nelle precedenti esperienze gestionali-artistiche. Il percorso professionale di Gérard Mortier è assolutamente “esemplare”, a questo proposito.
Molti punti rimangono oscuri e c’è da augurarsi che la relazione dettagliata richiesta oggi 15 aprile dal Ministro italiano per i Beni e le attività culturali, Dario Franceschini, aiuti a chiarirli. Certamente lascia sorpresi lo stupore e l’indignazione del Sindaco di Milano Giualiano Pisapia, massimo rappresentante di quel consiglio d’indirizzo (ex c.d.a.) cui la Legge Bray assegna un fondamentale ruolo di guida dell’azione del sovrintendente (o del “consulente tecnico” come risulta Pereira fino al prossimo settembre). L’attività di Pereira, come quella di qualunque altro manager culturale, è per intrinseca natura pubblica: nessuno si è accorto di un’eccessiva concentrazione di produzioni salisburghesi in fase di presentazione della prossima stagione? C’è qualcuno in consiglio che ha manifestato qualche perplessità su un eventuale scarso peso delle risorse produttive interne (in primis i suoi straordinari laboratori di scenografia e costumi), soprattutto nella stagione dell’Expo, momento fondamentale per sprigionare e promuovere il meglio delle forze creative e produttive nazionali?
C’è soprattutto da sperare che il Ministro, con le decisioni che riterrà opportuno prendere, censurando eventuali abusi e colpevoli omissioni se necessario, rifletta sul fatto che La Scala – come in fondo tutta l’Italia – ha da troppo tempo ormai perso il suo ruolo di riferimento nel teatro musicale e, più in generale, nella cultura europea. Che tali decisioni riescano a invertire questa tendenza e a imporre un rilancio deciso all’azione e all’immagine di quel teatro nel mondo è la vera sfida. Il successo della sua azione sarà soprattutto giudicato su questo.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
classica
A Ravenna l’originale binomio Monteverdi-Purcell di Dantone e Pizzi incontra l’eclettico Seicento di Orliński e Il Pomo d’Oro
classica
Per la prima volta quest’opera di Händel è stata eseguita a Roma, in forma di concerto
classica
Saltata la prima per tensioni sindacali, il Teatro La Fenice inaugura la stagione con un grande Myung-Whun Chung sul podio per l’opera verdiana