MITO: Verdi & Falzone
Il Requiem in chiave jazz al Cimitero Monumentale di Milano
Recensione
classica
Grandi musicisti come Giovanni Falzone rendono lo scrivere di musica non solo facile ma persino ricreativo. Questo perché grandi musicisti come Giovanni Falzone mettono nella propria musica così tante idee, e così bene organizzate, che viene persino difficile tenere a bada gli stimoli e mettere nero su bianco tutto ciò che si ha in testa. Prendo in mano il caso specifico: Giovanni Falzone rifà il 'Requiem' di Verdi in chiave contemporary jazz, chiamandolo 'Requiem around requiem'. Così almeno nella breve descrizione del concerto proposto nell'ambito di MiTo Settembre Musica. Lo aveva già presentato nell'ottima stagione di Musicamorfosi 2013, e ora dove lo rifà? Al Cimitero Monumentale di Milano dove riposa qualcuno come Alessandro Manzoni o Arturo Toscanini. Dunque: il jazz ha un certo tradizionale flirt con il funerale; basta pensare ai 'jazz funerals' o 'funerals with music' di New Orleans. Quindi l'incontro fra la tradizione del Requiem di ambito classico e la musica afroamericana per eccellenza non stride affatto, sulla carta. E non lo fa nemmeno sugli strumenti impiegati da Falzone per il progetto, ovvero strumenti classici (flauto, fagotto, tromba e trombone), jazz (sax baritono, tenore e soprano, batteria) e rock (basso e chitarra elettrici). Questo grazie al fatto che il trombettista e compositore palermitano sa quello che fa, a partire dall'attacco del concerto, con il suggestivo eco naturale del Famedio che investe la sua tromba e che si dirada mano a mano che Falzone discende le imponenti scale del Monumentale. È un Requiem scritto per Manzoni ma quest'apertura così confidenziale ha il sapore di una fanfara per l'uomo comune.
Le cose si arricchiscono invece durante l'esecuzione del brano perché stili e timbri cominciano a giocare un rimpallo fra secoli degno del Brasile di Pelé. L'aspetto notevole, nonché quello se vogliamo più delicato, data la natura della composizione, è la gestione delle voci, affidate ai bravissimi Joo Choo (soprano) e Mansoo Kim (baritono): esse di volta in volta appaiono come un'interferenza radiofonica da un secolo passato, o come un fiume carsico che entra ed esce dalla voce del resto dell'ensemble, o ancora come un treno in corsa pronto a schiantarsi contro il convoglio in arrivo nell'altra direzione. La risultante è insomma insieme sorprendente e strepitosa e testimonia la bravura di Falzone nel tenere uniti elementi così diversi come blues hard rock alla Led Zeppelin (con tanto di assolo di chitarra), sound da big band alla Quincy Jones, medievalismi che diventano improvvisamente echi di feste sudamericane e rumorismi assortiti di provenienza contemporanea/free jazz.
Il tutto senza che l'operazione suoni irrispettosa nei confronti del materiale di partenza, anzi, facendo pensare ai passi sulla ghiaia dei ritardatari come agli ospiti del Monumentale, improvvisamente svegliati da quella musica così singolare e curiosi di capire di che cosa si tratti. Insomma: un Requiem in un cimitero poteva simboleggiare una pietra tombale posta sopra ad una certa tradizione, ma grazie a Falzone la serata è diventata esattamente il contrario: una festa per gli infiniti modi con cui la musica del passato e del presente sa dimostrarsi più viva che mai.
Le cose si arricchiscono invece durante l'esecuzione del brano perché stili e timbri cominciano a giocare un rimpallo fra secoli degno del Brasile di Pelé. L'aspetto notevole, nonché quello se vogliamo più delicato, data la natura della composizione, è la gestione delle voci, affidate ai bravissimi Joo Choo (soprano) e Mansoo Kim (baritono): esse di volta in volta appaiono come un'interferenza radiofonica da un secolo passato, o come un fiume carsico che entra ed esce dalla voce del resto dell'ensemble, o ancora come un treno in corsa pronto a schiantarsi contro il convoglio in arrivo nell'altra direzione. La risultante è insomma insieme sorprendente e strepitosa e testimonia la bravura di Falzone nel tenere uniti elementi così diversi come blues hard rock alla Led Zeppelin (con tanto di assolo di chitarra), sound da big band alla Quincy Jones, medievalismi che diventano improvvisamente echi di feste sudamericane e rumorismi assortiti di provenienza contemporanea/free jazz.
Il tutto senza che l'operazione suoni irrispettosa nei confronti del materiale di partenza, anzi, facendo pensare ai passi sulla ghiaia dei ritardatari come agli ospiti del Monumentale, improvvisamente svegliati da quella musica così singolare e curiosi di capire di che cosa si tratti. Insomma: un Requiem in un cimitero poteva simboleggiare una pietra tombale posta sopra ad una certa tradizione, ma grazie a Falzone la serata è diventata esattamente il contrario: una festa per gli infiniti modi con cui la musica del passato e del presente sa dimostrarsi più viva che mai.
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