Prades veste Casals

Al festival dei Pirenei fondato dal violoncellista lezioni e concerti

Recensione
classica
Senza il Festival Pablo Casals, e a dire il vero anche senza la rassegna Ciné-Rencontre che lo precede di una settimana, Prades è un piccolo centro tranquillo senza particolari attrattive turistiche. Sono molto più vivi e interessanti i borghi medievali dei dintorni (Villefranche du Conflent, ad esempio), le tante grotte e le terme di Molitg-les-Bains. Ma è nella cittadina in cui il maestro Casals abitò in esilio dalla Spagna franchista, Prades appunto – sui Pirenei eppure non lontano dal mare, in un crocevia tra cultura francese e catalana – che nella prima metà di agosto si anima il Festival da lui stesso fondato e ancora animato dal suo spirito autentico del far musica. L’atmosfera che si respira, fuori e dentro l’Accademia che quest’anno ha accolto più di centotrenta allievi delle nazionalità più disparate, è in effetti quella genuina e spontanea del più profondo dialogo tra musicisti – che siano allievi o allievi e maestri che si confrontano, che sia musica d’insieme o per strumento solista – di quella profondità che raggiunge la leggerezza. Nessuna spocchia ma soltanto comunione e condivisione nel segno del repertorio prevalentemente classico e a tratti contemporaneo. La natura incontaminata dei dintorni rispecchia dunque il clima del Festival, dei corsi (un’allegra camerata di musicisti giovani e giovanissimi), dei concerti, delle conferenze. Genuina, forse troppo, è anche Prades, decisamente non equipaggiata per accogliere i turisti che la popolano in questo periodo.

L’infaticabile équipe guidata da Françoise Lethiec, sotto le redini artistiche del clarinettista Michel Lethiec, ha portato quest’anno a Prades musicisti come il leggendario Karl Leister, già clarinetto solista alla Filarmonica di Berlino sotto la direzione di Karajan, il Quatuor Talich, il flautista svizzero Felix Renggli, il violista di origini italiane Paul Coletti, un giovane brillante clarinettista di nome Isaac Rodriguez, l’eccellente contrabbassista Jurek Dybal. La maggior parte di loro sono affezionati frequentatori del festival e docenti dei corsi, tanto appassionati sul palco che in classe, attenti a mostrare agli allievi tutto il gusto dell’interpretazione, quello più tecnico o intellettuale che passa tuttavia, inseparabile, dalle ragioni del cuore. Una lezione solo apparentemente scontata su tutto quello che spesso è da togliere, sui respiri, le pause, il ‘cantato’ e l’equilibrio delle voci nella musica da camera. E non ultimo il compositore in residenza Krzysztof Penderecki, oramai habitué del Festival, che quest’anno ha festeggiato a Prades il suo ottantesimo compleanno, animando una conferenza e molti concerti con le sue opere. Un uomo che non nasconde la sua umanità nella turris eburnea del compositore, che ama gli alberi di cui possiede una vastissima collezione nel suo giardino privato intorno alla casa che recentemente è stata inaugurata come sede del European Krzysztof Penderecki Center for Music, un campus dove allievi e maestri polacchi e stranieri possono vivere a stretto contatto e far musica insieme.

I concerti, nella maggior parte dei casi tenuti dai docenti, sono disseminati tra le chiese, le grotte e le abbazie dei dintorni. Ed è proprio nell’Abbaye Saint Michel de Cuxa a Codalet, la sede più affascinante dei concerti in programma, sulla via del Cammino di Santiago de Compostela, che si è tenuta la prima esecuzione del Quintette pour quatuor à cordes et contrebasse (esisteva già una versione per solo quartetto) del maestro Penderecki, un brano denso di memoria e di accenti romantici, ispirato dal padre che di tanto in tanto suonava al violino melodie popolari polacche. Un successo clamoroso, merito anche all’esecuzione del Talich Quartet insieme a Jurek Dybal, cui aveva già fatto da preludio un leggerissimo Mozart del Quintetto per piano e strumenti a fiato in mi bemolle maggiore K. 452 interpretato da Peter Frankl (pianoforte), Jean-Louis Capezzali (oboe), Karl Leister (clarinetto), Frank Morelli (fagotto), André Cazalet (corno). Questo il concerto che più ha rappresentato l’anima pulsante, creativa e partecipata del Festival. Peccato per un pubblico, spesso di affezionati turisti non solo francesi, ancora dall’età media troppo alta.

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