Sigfrido torna a Bologna

Al Teatro Comunale prosegue con successo L’Anello del Nibelungo, sotto la bacchetta di Oksana Lyniv

 

Siegfried (Foto Andrea Ranzi)
Siegfried (Foto Andrea Ranzi)
Recensione
classica
Bologna, Teatro Auditorium Manzoni
Siegfried
13 Giugno 2025 - 15 Giugno 2025

Bologna è città wagneriana par excellence: nel principale teatro felsineo hanno infatti visto il loro debutto italiano L’Olandese volante, Lohengrin, Tristano e Isotta e Parsifal e per poco anche L’Anello del Nibelungo, se Venezia non l’avesse presentato appena tre giorni prima del debutto bolognese.

Al Teatro Comunale di Bologna il Ring mancava dal 1992, quando Il Crepuscolo degli dei diretto da Riccardo Chailly aveva chiuso la tetralogia wagneriana iniziata nel 1987. Si è dovuto attendere il biennio 2024/2025 per riascoltare – stavolta al Teatro Manzoni in forma di concerto – l’epico poema wagneriano, grazie alla virtuosa e quantomai necessaria, dopo tutto questo tempo, iniziativa dell’ex direttrice musicale (in carica dal 2022 al 2024) Oksana Lyniv di riproporre l’intero ciclo. Dunque, è stato con interesse, curiosità e una certa fibrillazione che il pubblico bolognese si è avvicinato alla Prima di Siegfried, seconda “giornata” della tetralogia, che dopo ben 35 anni ritorna a Bologna. 

Forse Siegfried è il momento (si fa per dire, considerate le quattro ore di – splendida – musica) più luminoso del Ring, in cui l’eroismo e l’amore di Sigfrido e Brunilde vincono, temporaneamente, sulla tragica cupezza che avvolge la tetralogia. Tuttavia, attorno a loro restano presenti le macchinazioni infide ed egoistiche degli altri personaggi. 

Ecco allora il grottesco e maligno fabbro Mime, padre putativo dell’eroe del titolo, tratteggiato da un ispirato Matthäus Schmidlechner. Il tenore austriaco si impone con la sua voce chiara, ampia e suadente, coadiuvata da una notevole capacità recitativa, che restituisce egregiamente il carattere ingannevole e meschino del nano. Accanto a lui il fratello (in scena) Alberich, motore di tutta la vicenda del Ring e vero e proprio villain, interpretato da un grandissimo Claudio Otelli, basso-baritono di ragguardevole presenza vocale. Lo strumento brunito e dalla emissione voluminosa ben evidenzia la sete di vendetta di un personaggio nutrito dal rancore. Il malvagio terzetto è completato dal drago Fafner (fu gigante, prima di usare la magia metamorfica del Tarnhelm forgiato con l’oro del Reno), che ipnotizza e spaventa grazie alla voce profonda e cavernosa del bravissimo Sorin Coliban, basso wagneriano per definizione. 

Ai due malvagi fratelli e al rettile mostruoso si contrappongono naturalmente gli eroi Sigfrido e Brunilde. A dare vita all’”uomo dell’avvenire” (così Wagner in una lettera del 1854) “libero, senza paura” (così, invece, Nietzsche) è il tenore Micheal Heim che, purtroppo, non convince pienamente nel ruolo. L’esecuzione pecca di qualche imprecisione tecnica (forse dovuta a una condizione fisica non ottimale), soprattutto in sede di intonazione e di emissione (non sempre il tenore riesce a oltrepassare l’imponente muro acustico dell’orchestra wagneriana), e in generale la rigidità interpretativa non aiuta a delineare i caratteri più spigolosi del personaggio, eroe inconsapevole, a tratti ironico e scostante. Al suo fianco, nella missione di redimere il mondo (secondo i piani del padre degli Dei, Wotan), la non più valchiria Brunilde, resa con correttezza musicale e recitativa dall’ottima Sonja Šarić. Il soprano serbo ruba la scena nel duetto d’amore che chiude l’opera, grazie alla sua voce potente e svettante negli acuti passionali e perentori, ma talvolta intrisa di una certa tristezza e nostalgia.

A chiudere il cast, l’eterea Voce dell'uccello della foresta (Stimme des Waldvogles), tratteggiata con grazie e squillo da Julie Grueter, e i divini, ma fatalmente connessi con il mondo mortale, Wotan (qui camuffato da Wanderer) ed Erda. Il contralto ungherese Bernadett Fodor dona, con uno strumento di lodevole sonorità (anche nelle sezioni più acute), il giusto taglio drammatico alla dea della Terra, che riscopriamo in un’inattesa fragilità. Thomas Johannes Mayer si cala alla perfezione nei panni del Viandante, di cui la voce netta e vibrante del baritono tedesco riesce gradevolmente a sottolineare i tratti più umani e terreni, soprattutto dal punto di vista emotivo. 

Oksana Lyniv (al suo debutto con l’opera) è costretta ad abbandonare il podio al termine del Preludio (a quanto sembra per un problema medico di lieve entità e subito risolto), per poi riprendere, circa dieci minuti più tardi, a dirigere l’Orchestra del Comunale. La sua conduzione, dal gesto netto e semplice, si apprezza per precisione e correttezza ritmica, a cui si aggiunge la carismatica attenzione alla ricca musicalità dell’opera. La bellezza melodica dei motivi conduttori wagneriani è, infatti, ben bilanciata con la rutilante sonorità della scrittura orchestrale. La compagine strumentale dimostra un ottimo livello di affiatamento con la direttrice ucraina, assecondandola innanzitutto nelle indicazioni dinamiche e poi nella ricerca (riuscita con successo) dell’uniformità del suono. In particolare, si distingue il dialogo tra la sezione degli archi e quella degli ottoni, in cui la drammaticità dei primi si rapporta all’imponente fibra sonora dei secondi, cogliendo in modo pertinente i toni eroici e tragici del dramma wagneriano. In questo senso, la scena della forgiatura della spada Nothung e quella del risveglio di Brunilde hanno rappresentato gli apici della serata. Infine, menzione d’onore per il magnifico e intonatissimo corno di Paride Canu, con cui Sigfrido attira il temibile Fafner fuori dal suo antro tenebroso.

Il pubblico della Prima, inspiegabilmente poco numeroso (soprattutto rispetto ai sold out ottenuti dalle altre due opere della tetralogia, eseguite appena un anno fa), tributa a tutti interminabili ovazioni, con picchi di entusiasmo per Lyniv, Otelli e Schmidlechner.

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