Il sax fiammingo
A Bruges spazio ai talenti locali, con il sassofono gran protagonista
Recensione
jazz
Rara avis nel panorama festivaliero, alla terza edizione il Flemish Jazz Meeting 2009 non cede il passo alle sirene dei grandi numeri per dar spazio ai più meritevoli talenti locali (ma ci sono anche gli italiani Manolo Cabras e Giovanni Barcella). È soprattutto il caso dello straordinario alto-sassofonista Ben Sluijs, stella iridescente del Christian Mendoza Quartet. Una formazione eccellente, che integra in forme assai diverse composizione ed improvvisazione per dar vita ad un set aperto al rischio. Tecnica sopraffina, versatilità, dinamismo sono le carte vincenti del gruppo, su cui vola alto il graffiante sax di Sluijs ad arricchire con l’estemporaneità le soluzioni più tradizionali del leader.
Grazie ai ghirigori dei Saxkartel, lo strumento principe del festival è stato il sassofono, esplorato in tutte le sue possibilità timbriche ed espressive, ad esaltarne la dimensione melodica, ritmica e perfino percussiva. Ironia, divertimento, tanto groove e drum’n ‘bass nella cifra stilistica dei Briskey, protagonisti di un set tra i più coinvolgenti della rassegna. Di alta classe la proposta di Carlo Nardozza e Bart Defoort, intessuta rispettivamente di world music e mainstream jazz. Tre giorni fitti di brevi concerti (ben tredici), per testare lo stato di salute del jazz fiammingo, la cui forte e stratificata identità sul piano politico non si chiude a riccio dialogando con mondi lontani quali Medio Oriente e Sud Africa. Ne sono stati qui protagonisti Hijaz e Tutu Puoane, a dimostrare ancora una volta la capacità inclusiva che ha il jazz di trasfigurare suoni esterni ad esso. Due, infine, i valori aggiunti del festival: l’incantevole cornice medievale di Bruges e la dislocazione dei concerti nei musei cittadini, per integrare sinesteticamente con i quadri il piacere della musica.
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