Vuvu, mi piaci tu
Mondiali in Sudafrica 2/ I pericoli del suono
Recensione
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È dai tempi dell’orchestra wagneriana che il volume di uno strumento musicale non suscitava tanti problemi.
La vuvuzela è il tema del giorno su tutti i quotidiani. Anche Enrico Bettinello – in non concordata contemporaneità con il sottoscritto – ne propone un’analisi estetica nel suo blog, qui su giornaledellamusica.it. Riassumendo per i “resistenti” che non riescono a seguire (o meglio: riescono a non seguire) i mondiali: la vuvuzela (secondo alcuni il nome significa "fare rumore" in zulu) è una tromba di materiale plastico, molto colorata, usata inizialmente dai tifosi dei Kaizer Chiefs, squadra di Johannesburg, e poi divenuta simbolo del tifo calcistico sudafricano (meglio, comunque, delle bombe-carta nostrane). Caratteristica principale: fa un baccano d’inferno, che disturba i giocatori, gli arbitri e – più di tutto - gli spettatori televisivi. Lippi non ci crede ed afferma «Per me sono registrate», ma la reazione del Sistema Calcio è stata rapida: la Bbc sta per «approntare un software per eliminare il rumore di fondo delle vuvuzelas», i maggiori campioni si sono uniti per chiedere che sia vietata dagli stadi del mondiale, ma Sepp Blatter – il primo presidente FIFA a tifare per il relativismo – ha opposto un secco no: «Ho sempre detto che l’Africa ha un ritmo, un suono diverso. Non vedo perché si debbano bandire le tradizioni musicali dei tifosi nel loro stesso paese». Molto meno aperti i giornalisti nostrani: Massimo Gramellini dedica alla “trombetta globale” il suo Buongiorno sulla “Stampa”, facendo venire i brividi agli etnomusicologi quando afferma che gli «africani… non hanno mai pensato di praticarvi un paio di buchi… per assaporare la differenza fra la melodia di un flauto e il ronzio di un’ape», e poco sotto che «gli aborigeni australiani soffiano da migliaia di anni dentro un tubo, e ne sono piuttosto orgogliosi». A parte la doppia svista organologica, il problema è dunque l’apertura all’ascolto? «Alla fine del mondo le vuvuzelas perforeranno i timpani di tutti i furbi del pianeta, mentre i pochi saggi avranno Mozart o gli U2 nelle cuffie e non si accorgeranno di niente». Di più: non solo lo shock culturale di un suono diverso, ma addirittura rischi sanitari: Sandro Modeo scrive sul “Corriere della Sera” che «Per una volta, forse, il relativismo culturale va messo tra parentesi»: le vuvuzelas sono PERICOLOSE per l’udito! Il volume della loro emissione si aggira (a seconda delle fonti) fra i 127 e 144 decibel. Intorno all’intensità di un concerto rock. O di un’orchestra wagneriana ascoltata dalle prime file.
La vuvuzela è il tema del giorno su tutti i quotidiani. Anche Enrico Bettinello – in non concordata contemporaneità con il sottoscritto – ne propone un’analisi estetica nel suo blog, qui su giornaledellamusica.it. Riassumendo per i “resistenti” che non riescono a seguire (o meglio: riescono a non seguire) i mondiali: la vuvuzela (secondo alcuni il nome significa "fare rumore" in zulu) è una tromba di materiale plastico, molto colorata, usata inizialmente dai tifosi dei Kaizer Chiefs, squadra di Johannesburg, e poi divenuta simbolo del tifo calcistico sudafricano (meglio, comunque, delle bombe-carta nostrane). Caratteristica principale: fa un baccano d’inferno, che disturba i giocatori, gli arbitri e – più di tutto - gli spettatori televisivi. Lippi non ci crede ed afferma «Per me sono registrate», ma la reazione del Sistema Calcio è stata rapida: la Bbc sta per «approntare un software per eliminare il rumore di fondo delle vuvuzelas», i maggiori campioni si sono uniti per chiedere che sia vietata dagli stadi del mondiale, ma Sepp Blatter – il primo presidente FIFA a tifare per il relativismo – ha opposto un secco no: «Ho sempre detto che l’Africa ha un ritmo, un suono diverso. Non vedo perché si debbano bandire le tradizioni musicali dei tifosi nel loro stesso paese». Molto meno aperti i giornalisti nostrani: Massimo Gramellini dedica alla “trombetta globale” il suo Buongiorno sulla “Stampa”, facendo venire i brividi agli etnomusicologi quando afferma che gli «africani… non hanno mai pensato di praticarvi un paio di buchi… per assaporare la differenza fra la melodia di un flauto e il ronzio di un’ape», e poco sotto che «gli aborigeni australiani soffiano da migliaia di anni dentro un tubo, e ne sono piuttosto orgogliosi». A parte la doppia svista organologica, il problema è dunque l’apertura all’ascolto? «Alla fine del mondo le vuvuzelas perforeranno i timpani di tutti i furbi del pianeta, mentre i pochi saggi avranno Mozart o gli U2 nelle cuffie e non si accorgeranno di niente». Di più: non solo lo shock culturale di un suono diverso, ma addirittura rischi sanitari: Sandro Modeo scrive sul “Corriere della Sera” che «Per una volta, forse, il relativismo culturale va messo tra parentesi»: le vuvuzelas sono PERICOLOSE per l’udito! Il volume della loro emissione si aggira (a seconda delle fonti) fra i 127 e 144 decibel. Intorno all’intensità di un concerto rock. O di un’orchestra wagneriana ascoltata dalle prime file.
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