Violini al posto delle pietre

Appello dei musicisti per la Palestina

Recensione
classica
Mentre leggete queste parole il numero dei morti a Gaza sarà già salito ben oltre i 500 annunciati poco fa dalla radio, insieme ai pressanti appelli ONU per il cessate il fuoco, ovviamente inascoltati. Eppure qualcosa bisogna fare, tutti noi dobbiamo agire: anche se la musica sembra non avere alcun ruolo, la sua presenza in quei territori è più di una speranza. Grazie ad alcuni amici della Cooperazione del Ministero degli Affari Esteri italiano, ho visitato per la prima volta nel febbraio scorso i territori palestinesi nel cuore di Israele, con una missione ufficiale e molte altre motivazioni: consegnare un fagotto donato al Sistema delle Orchestre Giovanili in Italia e a Music Fund durante la raccolta al Petruzzelli di Bari e destinato alle scuole di musica Al Kamandjati create a Ramallah da Ramzi Aburedwan. Il fagotto ha una bella storia: il donatore, Domenico Losavio fondatore dei Solisti Dauni di Foggia, lo usò per le prime esecuzioni delle composizioni a lui dedicate da Nino Rota negli anni 70; la comunità palestinese ha avuto tanti strumenti da varie associazioni europee e locali ma mancava finora un fagotto che ora continuerà a suonare laggiù.

Anche Ramzi ha una bella storia, conosciuta da molti anche in Italia: a 8 anni fu immortalato mentre lanciava pietre contro i militari israeliani, poi la sua esistenza cambiò con la scoperta della musica, mandato a studiare in Francia al conservatorio di Angers e diventato prima viola dell’orchestra Diwan di Said-Barenboim, concerti a solo diretti da Abbado, la decisione di tornare nella sua terra per insegnare ad altri la musica e riappropriarsi della propria musica, quella araba, suonando il popolare buzzuq e fondando l’Ensemble Nationale des Musiques Arabes. Il suo progetto all’inizio s’intitolava “violini al posto di pietre”, ma già nei mesi scorsi si avvertiva il fallimento di tanti utopici programmi di “dialogo” (mai tra i due contendenti si è parlato di “pace”) tra israeliani e palestinesi, soprattutto attraverso l’arte e la musica. Oltre a Ramallah ho visitato una delle cinque sedi, quella di Betlemme, del Conservatorio Nazionale di Palestina intitolato a Edward Said, diretto ora dall’italiano Michele Cantoni, e ho conosciuto l’esperienza della scuola cristiana “Magnificat”, unica scuola di musica nel cuore di Gerusalemme antica. Ho scoperto che hanno tutti orchestre, cori, maestri (anche italiani, pagati con regolari contratti), laboratori di liuteria e bei locali moderni ma non hanno libri di musica: ad una prima richiesta che ho fatto circolare attraverso una trasmissione su Radio3 Rai hanno risposto già due persone da Palermo e da Milano che vogliono donare a queste scuole intere biblioteche. Ho parlato con tante persone laggiù e tutti mi hanno ripetuto che l’esperienza Diwan è fallita dopo la morte di Said, mentre considerano l’estensione della musica a tutti i bambini palestinesi dei campi (seguendo il modello ideale di Abreu), la migliore arma per rispondere pacificamente alle violenze e alle prepotenze dello stato d’Israele che li tiene prigionieri. E si capisce che hanno ragione solo guardando la desolazione di un muro col filo spinato e le guardie armate che dividono in maniera così disumana quello che era un unico popolo su una terra santa, promessa contemporaneamente a tre credi religiosi che hanno convissuto per secoli fino a che non sono intervenuti gli sciagurati interessi colonialisti europei. Il nonno di Ramzi aveva combattuto per gli inglesi ed era orgoglioso del suo pezzo di terra: nel 1948 gli è stato sottratto con la forza e affidato ai coloni ebrei da un giorno all’altro. Non è solo colpa del fanatismo sionista (tutti i meravigliosi musicisti e musicologi israeliani che conosco ripudiano queste violenze) o dell’identico fanatismo di Hamas: è una macchia sulla coscienza europea che nessuno vuol ricordare. Non importa ormai scusarsi, bisogna agire.

Ramzi mi ha inviato un documento che è stato firmato da tutte le associazioni che si occupano in Palestina di arti performative e musicali, con la richiesta di sospendere immediatamente le azioni di guerra perpetrate contro i civili inermi a Gaza dallo stato di Israele. Lo riporto qui di seguito senza commenti con il mio invito a seguire la vostra coscienza

Statement by Palestinian performing art organizations 17th July 2014 We, cultural workers representing the majority of Palestinian performing art organizations, condemn the current Israeli attack and aggression on Gaza, and the indiscriminate killing and maiming of mainly civilians, among them many children and women. As artists, the most powerful weapon we have is our ability to play, dream and imagine. The oppressive forces fear this weapon because as long as we are able to imagine another kind of reality, we have the power to pursue it - a free and just Palestine. Israel is portraying the ongoing massacre in Gaza as a war between them and Hamas, as part of an obnoxious media campaign of turning the oppressed into the villains. This latest Israeli attack against Gaza is a crime that must be understood within the context of Israeli occupation and apartheid. For over six decades Palestinians have been systematically bereaved of their lands, their water and their freedom of movement. Settlements continue to be built, a wall is erected on occupied lands and Gaza has been under a suffocating blockade for over six years. These crimes must be condemned and acted upon immediately. Among our companions are institutions that despite all the hardships continue to work in Gaza, using music, theatre and drama to comprehend, process, educate and mobilize. We stand with them and we ask you to do the same. While governments are once again turning their backs, people around the world are raising their voices; taking to the streets and refusing to let the people of Gaza suffer in silence. We urge our colleagues, friends and partners not to stay silent and join us in our protest. We call upon the world to put pressure on Israel to stop the blockade of Gaza. We particularly call upon our fellow artists and cultural organizations to condemn the current aggressions against Gaza and the occupation of Palestine through petitions, protests and statements. Further to that, we urge you to act by supporting the Palestinian cultural and academic boycott of Israel (PACBI), thereby refusing to be complicit in the ongoing occupation and apartheid. Together, we can turn hopelessness into determination and the forces of division into unity. It is within our power. The undersigned, as founding members of the Palestinian Performing Art Programme (PPAN): Al-Harah Theatre; The Magnificat Association; The Edward Said National Conservatory of Music; Al Kamandjati Association; Theatre Day Productions; Yes Theatre; The Palestine Circus School; The Freedom Theatre; Popular Art Center; El Funoun Dance Troupe; Ashtar Theatre; A.M Qattan Foundation

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Jonas  di Carissimi e Vanitas  di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento

classica

Napoli: Dvorak apre il San Carlo

classica

Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.