Verismo made in Italy

Londra: trionfo per Cav & Pag di Pappano e Michieletto

Recensione
classica
Royal Opera House (ROH) Londra
03 Dicembre 2015
Trionfo tutto italiano alla Royal Opera House di Londra, che ha affidato a Michieletto troupe, alle Giannattasio, Belli, Zilio e ovviamente Antonio Pappano, Cavalleria - Pagliacci, dramma plebeo manifesto del verismo - come per dire: un insider saprà bene come rappresentarcela. Scene e costumi di un Italia anni ottanta del ventesimo secolo, croci e madonne, un panificio, la spalliera della palestra di scuola (molto retrò) - c'è tutto ciò che comporta l'adesione ad una partitura verista, posto che la finzione insita in una messinscena sia più o meno verosimile o realistica. Michieletto è riuscito a rilevare il significato globale, il genius loci: violenza, forza, autoaffermazione, vendetta. Queste storie comuni di ordinaria follia non avevano, però, in scena l'adeguata nerezza, poco noir narrativo. E l'elemento religioso non è reso come autentica esigenza del singolo personaggio drammatico - come per Santuzza, violenta, repressa e realistica interpretata con grande temperamento ed enorme recitazione da Eva-Maria Westbroek, pure gran voce - ma mero fatto folklorico. Il finale tragico e tutta la connotazione a sfondo sessuale erano ben delineate. Cavalleria comincia con un flashback della morte di Turiddu e la disperazione della madre Elena Zilio. Toccante la sua recitazione. Poi subito il tenore Aleksandrs Antonenko, Turiddu, cantante possente sin dalla siciliana, un po' troppo affrettata però, risulta vocalmente e teatralmente un interprete perfetto in entrambi i ruoli (Canio). L'amore di Silvio e Nedda appare già in Cavalleria: durante l'Intermezzo i due si baciano nascosti, così come si chiude il cerchio quando, in Pagliacci, figurano Santuzza e la madre di Turiddu in un abbraccio materno - come egli desiderava prima di morire. Pagliacci era una cornice figurativa degli eventi, con il ruolo non marginale di uno scenario metateatrale affollato di popolani in festa ed ansiosi di assistere alla messinscena. Dunque Michieletto sincronizza e interseca i due drammi. La Giannattasio Nedda, un irresistibile sorriso e presenza, in simbiosi con l'elemento sessuale - colori timbrici, quando sale, di velluto. Martina Belli in Lola il giusto equilibrio. Dimitri Platanias, Tonio/prologo, espone, non al proscenio ma nel suo camerino, la poetica del vero, con gran voce e fisicità - enfatizzata con lucida intelligenza dal regista, senza reticenza nel mostrare tutta la diversità del ruolo in rapporto a Canio. A parte la regia, a sfavillare, piena di musica è la direzione di Antonio Pappano. Con grande autorevolezza nei rubati e portamenti ha forgiato un verismo più strumentale affondato nei registri scuri degli archi, lirico e meno ritmico - perfetto l'equilibrio dinamico cantanti/orchestra. Poi il coro, nelle scene di massa e di sfogo, canta sempre delineato nei timbri, si sentiva che al popolo mancava una voce sincera sulla verità degli accaduti. Il Teatro di Covent Garden chiude così il cartellone della stagione autunnale, su questa Italia e questi sentimenti, forse ancora peculiari del nostro made in Italy.

Note: Coproduzione con Opera Australia, La Monnaie, Brussels e Goteborg Opera.

Interpreti: Santuzza Eva-Maria Westbroek, Turiddu e Canio Aleksandrs Antonenko, Mamma Lucia Elena Zilio, Alfio e Tonio Dimitri Platanias, Lola Martina Belli, Carmen Giannattasio Nedda, Benjamin Hulett Beppe, Dionysios Sourbis Silvio.

Regia: Damiano Michieletto

Scene: Paolo Fantin

Costumi: Carla Teti

Orchestra: Royal Opera House

Direttore: Antonio Pappano

Coro: Royal Opera House

Maestro Coro: Renato Balsadonna

Luci: Alessandro Carletti

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