Uno, nessuno, centomila festival
Varata a Catania e in altre sedi la prima edizione di una nuova kermesse tematica su Vincenzo Bellini
Quest’estate, sotto gli auspici della Regione Sicilia, ma con un concorso rilevante di altre istituzioni politiche, culturali e didattiche, è stata varata a Catania e in altre sedi la prima edizione di una nuova kermesse tematica su Vincenzo Bellini: uno sforzo ragguardevole, anche sul piano scientifico (la Norma in diretta su Rai 5 il 23 settembre, ancora visibile in streaming, è stata realizzata sulla base dell’edizione critica predisposta da Roger Parker, incontri musicologici con relatori di spessore sono stati curati dall’Università di Catania, e tre Tantum Ergo del periodo catanese di Bellini sono stati eseguiti in prima moderna nell’edizione di Maria Rosa De Luca); senonché, proprio alla vigilia della Norma menzionata, un’ordinanza cautelare del Tribunale di Palermo ha imposto il divieto dell’uso – su tutti i materiali di comunicazione – di logo e nome coniati per la kermesse, poiché troppo simili al Festival Belliniano realizzato da 12 anni in qua da altro soggetto, negli stessi luoghi e (quasi) nello stesso periodo.
In attesa che nelle aule di tribunale continui a dipanarsi tale grottesca, pirandelliana vicenda, si ragguaglia qui su alcuni fra gli ultimi appuntamenti del nuovo festival, che ‘in cauda’ è stato ribattezzato “Tributo a Vincenzo Bellini”. E che ha avuto l’indubbio merito di riproporre nella sua città natale la musica di Aldo Clementi, grazie alla bella e magica esecuzione di Rapsodia prima, affidata alle voci di Gabriella Costa e Adriana Di Paola, alla bacchetta di Gabriele Ferro all’Orchestra del Teatro Massimo di Palermo: l’ascolto di lavori per grande organico di Clementi è fondamentale, per cogliere la poetica informel del compositore, senza arrestarsi ai processi di rifrazione-a-canone di cellule spesso desunte dal repertorio del passato (e perciò spesso anche diatoniche, qui – segnatamente – estratte da lieder di Schubert-Goethe); sono processi che finiscono in primo piano nei lavori cameristici, ma che in rizomi complessi nel numero di parti e fonti sonore generano tessiture fascinose, impasti sorprendenti, materia dal rapinoso respiro complessivo, che gli interpreti sono stati bravissimi nel plasmare. Assai interessante l’ascolto di quattro Sinfonie del giovane – e ormai ‘napoletano ‘ – Bellini: lavori che sarebbe riduttivo definire di semplice apprendistato, data la pregnanza espressiva delle introduzioni lente (notevole soprattutto quella della Sinfonia n. 7 in re minore, col suo assorto e doloroso metodizzare su ampi pedali armonici), o l’abilità di esporre i temi in imitazione ma senza pedanteria. Ferro ha dato il meglio di sé quando ha diretto timbri e fraseggi, assai meno sul piano della precisione del gesto, il che ha reso problematici alcuni stacchi di tempo e non memorabile l’esecuzione finale della Sinfonia ‘Tragica’ di Schubert.
Nell’ambito del “Tributo”, il Teatro Massimo Bellini ha promosso un Concorso lirico, incentrato soprattutto – ma non solo – sul repertorio belcantistico. Sarebbe stato più giusto definirlo ‘audizioni competitive’, dato che ai numerosi vincitori (quindici!) sarà data la possibilità di lavorare nel prossimo in futuro in ruoli – cast o coperture – della programmazione del Teatro Massimo Bellini. Alcune delle voci apprezzate nel concerto finale, diretto – pure col ruolo di ‘chioccia’ dei giovani cantanti – da Giuseppe Sabbatini, hanno mostrato già qualità per salire sul palcoscenico: Elisa Verzier, che ha cantato molto bene l’aria di Mimì dal primo atto di La Bohème; o Ester Ventura, colore e affondo della voce ottimi, e interpretazione coinvolgente di “Morrò, ma prima in grazia” da Un ballo in maschera; o Mariangela Santoro, fraseggio ed intonazione molto ben curati, bel timbro brunito ed omogeneo nei registri del lirico-drammatico, cui manca ancora un filo di espansione negli acuti per dominare completamente anche una vocalità quale quella di "Tacea la notte placida" e cabaletta seguente; o ancora Silvia Caliò, buon mix di precisione e spigliatezza in “Quel guardo il cavaliere”; ma si augura a tutti i giovani selezionati di sviluppare, irrobustire o affinare il proprio percorso esecutivo: ad es. l’assai applaudita Rita Marques, puntuale in intonazione ed articolazione tecnica della scena finale del primo atto di Traviata, ha ancora bisogno di costruire corposità e profondità degli acuti. Questi i nomi degli altri selezionati: Claudia Ceraulo (che ha ricevuto un premio speciale del pubblico), Alin Anca Doru, Federica Foresta, Davide Romeo, Chiara Notarnicola, Elene Sabashvili, Cristin Arsenova, Pasquale Conticelli, Kimika Yamagiwa, Nina Muho. Per inciso, nella stessa serata il Teatro Massimo Bellini ha consegnato un Premio alla Carriera all’étoile e coreografa Eleonora Abbagnato, che ha splendidamente regalato al pubblico – con la complicità di Gaetano Castellana – il passo a due inventato da Roland Petit sull’Adagietto dalla Sinfonia n. 5 di Mahler.
La kermesse si è conclusa con un lungo spettacolo, misto di recitazione canto ed esecuzione sinfonico-corale, su “Bellini Wagner Sinopoli”: considerato che alle tre figure s’è aggiunto anche il tema-legante della flânerie, c’era forse materia per due serate abbondanti. Il testo di Costanza Di Quattro (da un’idea di Antonio Rapisarda) è perciò apparso centrato particolarmente nelle fasi sul nome centrale della triade, sia perché – com’è noto – tra scritti autobiografici e lettere è disponibile abbondante materiale di prima mano, sia perché Tullio Solenghi è stato magistrale nel porgere il personaggio con ironia sublime ed elegante egocentrismo allo stesso tempo; se la porzione testuale su Bellini è risultata leggermente forzata (e in tono la recitazione di Mario Incudine), meritoria di sicuro quella su Giuseppe Sinopoli nel 20° della scomparsa, anche per aver dato occasione di ascoltare sue musiche a Catania: proposti estratti da Lou Salomè, l’opera più mitteleuropea di Sinopoli, ne è emerso di nuovo un profilo certo legato alle avanguardie espressioniste di quell’area, ma rilette in chiave personale, e con una rinnovata sensibilità – questa sporta sulla neoavanguardia – nell’accostamento di masse timbriche, tra cui in rilievo quelle generate dalle percussioni. L’Orchestra del Teatro Massimo Bellini e il direttore Guido Maria Guida hanno dato il meglio, nella serata, proprio in questi brani, patendovi meno che in quelli di Wagner – peraltro eseguiti con lodevole slancio – la complicante ‘disposizione a distanza’ degli organici; vorremmo per questo riascoltare in altra occasione le potenzialità vocali di Francesca Sassu, chiamata a sostituire altra solista, quindi probabilmente non del tutto a suo agio in autori (Wagner e Sinopoli, appunto) a lei non abituali, e un po’ affaticata in una “Casta diva” riuscita slabbrata nel fraseggio generale. Molto positiva la prova delle due voci maschili, il baritono Franco Vassallo (voce tornita, emissione profonda, dizione chiarissima) e Dario Russo, ormai uno dei bassi interpreti più interessanti nel panorama internazionale non solo per la qualità, ma pure per la duttilità delle sue interpretazioni. Comunque, una formula – per la mise-en-espace di Giovanni Sinopoli – che ha soddisfatto il non poco pubblico presente, anche per una sua valenza ‘didascalica’ (un avvicinamento alle biografie artistiche di noti e grandi musicisti) da valorizzare più del cotè fantastico, e a volte fin troppo pindarico, della narrazione.
Quale sorte ora, l’anno prossimo, per questo neonato “Tributo a Vincenzo Bellini”? una seconda edizione? E con quale nome?...
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