Ultima tappa, dopo Il Trovatore e Rigoletto, della trilogia popolare verdiana realizzata dal Teatro Regio di Parma nell'ambito del Verdi Festival, La Traviata andata in scena ieri sera è stata proposta in un nuovo allestimento che riprendeva, nell'edizione critica a cura di Fabrizio Della Seta, la prima partitura del marzo 1853, quella del "fiasco" veneziano. Le differenze rilevanti rispetto alla versione, diciamo così, tradizionale di quest'opera sono da rilevarsi sostanzialmente nel concertato finale e, soprattutto, nella parte del baritono, che torna alla primigenia tessitura più acuta, rispetto ai posteriori e definitivi rimaneggiamenti operati dallo stesso Verdi a seguito dell'esito poco lusinghiero del debutto. Un esito negativo che, peraltro, non si è ripetuto questa volta di fronte al pubblico del Verdi Festival, che ha tributato a questo allestimento un successo segnato a tratti da qualche brusio. Obiettivamente, non si può dire che si sia trattato di uno spettacolo perfetto sotto tutti i punti di vista, ma sicuramente l'impegno profuso a piene mani da tutti gli artisti impegnati ha raccolto i suoi frutti nell'ambito di una "prima" in cui, come spesso qui a Parma, la tensione emotiva non è certo da sottovalutare. La regia era affidata a Giuseppe Bertolucci, artista parmigiano che, al suo debutto con l'opera lirica, ha voluto incastonare la vicenda in un clima cupo, non tanto astratto quanto caratterizzato da un'atemporalità segnata da rimandi agli anni '50, rintracciabili soprattutto negli eleganti costumi ideati da Irene Monti. Le scene scure di Francesco Calcagnini si basavano su grandi pannelli che, scorrendo a semicerchio, ritagliavano gli ambienti del primo atto e della festa a casa di Flora del secondo, mentre un giardino circolare e sospeso accoglieva l'azione della prima parte del secondo atto. La camera da letto di Violetta, infine, era ritagliata all'interno di una grande cornice dorata, spezzata e obliqua, quasi fosse un enorme quadro franato sul palcoscenico. Il nero di fondo, punteggiato da tante poltrone rosse, ha caratterizzato una regia - contrappuntata dalla simbolica presenza di un prestigiatore e di una bambina di bianco vestita, spettatrice-attrice nonché testimone del dramma che si consumava sul palcoscenico - funzionale, con qualche riserva nell'uso delle masse (per esempio il movimento meccanico del "brindisi", quasi ad evocare un gigantesco carillon). Carlo Rizzi ha condotto l'Orchestra del Centenario e il Coro del Verdi Festival attraverso una lettura che privilegiava le tinte forti del dramma, gestita con buon controllo ma con un esubero timbrico che ha annullato certe delicate regioni coloristiche pur presenti nella partitura verdiana. Nel cast vocale è emerso l'Alfredo di Giuseppe Sabbatini, protagonista di un bel successo personale, che ha tratteggiato il proprio personaggio con un trasporto in linea con la direzione musicale ed una vocalità efficace. La Violetta di Darina Takova ha profuso un buon impegno, percorrendo una strada tutta in salita, dovuta a qualche incertezza espressa da una voce dotata di buon timbro ma sensibilmente emozionata. Buona prova, infine, di Vittorio Vitelli nei panni di Giorgio Germont, parte qui particolarmente impegnativa, che il baritono ha risolto con buon controllo. Gli applausi per tutti hanno chiuso la serata.
Interpreti: Takova/Raspagliosi, Dashuk, Tomao, Sabbatini/Catani, Vitelli, Melani, Cicognetti, Paltretti, Cescotti
Regia: Giuseppe Bertolucci
Scene: Francesco Calcagnani
Costumi: Irene Monti
Coreografo: Monica Casadei
Orchestra: Orchestra del Centenario
Direttore: Carlo Rizzi
Coro: Coro del Festival Verdi
Maestro Coro: Martino Faggiani