Una performance su Beethoven a Torino per MITO
Simon Steen-Andersen dà vita a un racconto fantascientifico tra musica, luci e live electronics
Uno dei concerti di MITO 2024 (qui la nostra intervista al direttore artistico Giorgio Battistelli) più promettenti per il pubblico di Torino era, sulla carta, quello del 9 settembre. Non aveva titolo, ma s’inseriva nella sezione «Ascoltare con gli occhi», dove la musica si contamina con altri linguaggi, tra cui la contemporanea performance. Occorre definizione.
Oggi la performance non significa banalmente l’esecuzione, ma è un termine che una certa riflessione in sede teatrale e accademica ha assimilato suppergiù a il comportamento umano. La performance riguarda e coinvolge lo spettatore. Ha inevitabilmente diversi punti di contatto con l’antropologia. È inoltre amica delle recenti tecnologie, delle quali all’occorrenza si serve per i propri scopi teatrali.
Questo piccolo bignami, di cui chiediamo perdono al lettore, serve a chiarire che il concerto che tanto prometteva ha tanto mantenuto. La dimensione immersiva è garantita subito da una nebbiolina che accoglie lo spettatore nel foyer e poi nella sala dell’Auditorium Rai «Arturo Toscanini». L’orchestra è già schierata, ma, nebbiolina a parte, tutto sembra normale. Cala il buio e si entra in un racconto di fantascienza. Il racconto è di per sé classico: parla del ritrovamento di un reperto di una civiltà scomparsa, la nostra, ad opera di una futura civiltà umana. Il reperto è... un nastro del concerto di stasera, nel quale Rei Nakamura suona il pianoforte nel Quarto Concerto op. 58 di Beethoven, Robert Treviño dirige l’Orchestra Rai, e noi pubblico ascoltiamo e applaudiamo.
Il modo col quale è raccontato, invece, schiera tutto l’armamentario tecnologico performativo, con video, luci e live electronics a distorcere i suoni. Noi, i musicisti, gli strumenti, la musica di Beethoven, e persino la speaker che fa la diretta radiofonica del concerto (la voce di Susanna Franchi) siamo tutti decostruiti dallo sguardo di uno scienziato del futuro (l’ottimo Vinicio Marchioni), che, con le tecnologie che la sua civiltà gli offre, riesce a immergersi nel nastro e perciò ad assistere per la prima volta a un concerto di musica classica, pur distorto nel sonoro e nel visivo. Gli sembra un misterioso rituale, lo descrive straniato come un antropologo, sempre si domanda «cosa sto guardando?».
Ma ciò che è davvero commovente è la riflessione sull’umanità. L’uomo del futuro, inizialmente smarrito, arriva pian piano a capire che la musica non solo ha una sua logica, ma anche una sua bellezza, dissepolta dai millenni per parlare di lui a lui. Comprende la grandezza della perdita. Ne è annientato. no Concerto, questo il titolo della performance in prima italiana, in apparenza destruttura Beethoven, ma il suo obiettivo ultimo è ricongiungere l’uomo con se stesso in una sintesi unitaria. In ciò profondamente classico e profondamente beethoveniano. Oltre ai performer, applauditi anche l’ideatore, regista e compositore Simon Steen-Andersen e il direttore del suono Daniel Miska.
Poco spazio rimane per descrivere la seconda parte del concerto, ma è collegata alla prima. Il brano per orchestra Ishjärta di Lisa Streich, anch’esso in prima italiana, è un interessante studio sulla natura degli accordi, ora sfumati nei loro stessi componenti armonici, ora perentori e secchi come i colpi di un Dies Irae. Nel programma della serata Ishjärta fa da intermezzo di gran classe tra no Concerto e la Quinta sinfonia di Beethoven, non distorta e non decostruita, ma diretta con splendore sonoro e incessante propulsione ritmica – specie il primo e l’ultimo movimento – da Treviño. Anche Beethoven ritorna a se stesso, e il cerchio si chiude.
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