Un Prologo sinfonico-corale di Silvia Colasanti per la Medea euripidea
L’abisso di violenza, subito o agito dai personaggi, anima il brano scritto per l’allestimento a Siracusa
Le nuove produzioni di testi teatrali antichi, proposte annualmente dalla Fondazione INDA presso il magnifico Teatro Greco di Siracusa, han fatto registrare negli ultimi anni non solo l’allargamento del repertorio ai testi comici, ma pure un approfondimento e un aggiornamento sui singoli codici spettacolari e sulla loro interazione, con risultati senza dubbio significativi e stimolanti nelle firme d’autore.
Non deve sorprendere perciò che, nella stagione in corso, l’allestimento di Medea di Euripide curato per la regia da Federico Tiezzi comprenda un brano sinfonico-corale originale per il Prologo commissionato a Silvia Colasanti. La compositrice romana si è già creativamente confrontata con eroine tragiche (Proserpina, Ofelia…) anche fuori dello specifico musicoteatrale, tanto che un brano dedicato a Medea (Cede pietati dolor, 2007) ha una veste sinfonica; una certa tendenza alla figuralità drammatica sembra in effetti ricorrere nella musica della Colasanti, che in ogni caso non la declina in morfologie semplicisticamente narrative, ma come arsenale di potenziali relazioni-conflitti-metamorfosi entro quelle figure, e con soluzioni sempre magistralmente condotte nel modellare il suono, eleganti e insieme plastiche nella scrittura. Sono qualità che emergono da questo Prologo sinfonico-corale, insieme a un’altra caratteristica ricorrente nelle sue ‘drammaturgie’ musicali: il ribaltamento di, o il focus su un punto di vista ‘alternativo’ e ‘laterale’. La scelta di un coro (vocalizzante) di voci bianche porta dunque in primo piano la violenza subita dai figli, e in rapporto a questa l’abisso di Medea, che accentua della prima il nucleo oscuro e irreparabilmente contradditorio, nonostante nel testo euripideo si dispieghi – accanto alle laceranti oscillazioni intime – con impressionante lucidità: i contrasti tra arcuate e inquiete melopee vocali, vetrificazioni della materia strumentale nelle fasce acute degli archi, e sue eruzioni in complesse ondate timbriche dal grave, si dipanano fino a fasi più diatoniche, che rispecchiano un senso di preghiera, ma che restano affacciate – sia nel ductus del brano originale, sia nella sua dissolvenza verso l’azione recitata nel testo spettacolare – su un finale aperto.
Efficace e fascinoso, insomma, l’inserimento di questo brano (non una pura e sganciabile Ouverture alla rappresentazione, come quelle celebri beethoveniane, ma certo neppure una mera ‘traccia di servizio’ per altre sonoro-musicali analoghe) entro la tavolozza mediale del notevole allestimento; il quale si è avvalso poi delle scabre ma incisive scelte di regia scene e costumi (perturbanti le maschere animali per i gruppi di personaggi, come i coccodrilli-neocapitalisti del coté di Corinto versus l’inafferrabilità aviaria di Medea, o i conigli-vittime dei figli), di prove d’attore notevoli, e soprattutto di una ficcante, pesata, teatralmente efficace nuova traduzione di Massimo Fusillo, che vi ha messo a frutto anche tutto il suo background di comparatista attento alle rimediazioni più recenti dei temi narrativi in Medea. Resta da chiedersi se, nel percorso di crescente accuratezza e complessità estetico-teatrale che l’INDA meritoriamente ha fatto imboccare a molti suoi recenti spettacoli, non sia giunto il momento di tentare l’affidamento in blocco delle musiche a un compositore di area ‘colta-contemporanea’, provando a unificare organicamente un segno musicale che ancora in questa Medea è restato – con esiti comunque interessanti – di molteplice provenienza, in virtù di altri tasselli registrati di repertorio o ‘etnici’, e interventi dal vivo a cavallo tra quelle due modalità.
Moltissimi – in un Teatro totalmente gremito – gli applausi per tutti, idealmente anche per la compositrice e gli interpreti del Prologo (Coro di voci bianche e Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, diretti rispettivamente da Giuseppe Sabbatini e da Carlo Donadio), diffuso nello spazio attraverso una registrazione.
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