Un pianoforte nel Novecento: sentimenti d’ascolto
Bologna: Jan Michiels attraversa un secolo di musica
Recensione
classica
Qualche applauso timido e incerto fa capolino nello spiraglio che si apre tra l’Hommage à Pierre Boulez di György Kurtág e la Sonata n. 3 del francese. A che punto saremo?Si doveva applaudire? Allo stesso modo, la seconda parte del recital scorre via tutta d’un fiato, tra il Debussy del Secondo Libro degli Studi e un Boulez, quello di Incises, così lontano da quello che diversi decenni prima, con la Sonata n. 3, aveva abbandonato la scrittura per solo pianoforte. Magie di una serata rara, in cui si attraversa di gran carriera il Novecento, sui tasti di un pianoforte affidato al belga Jan Michiels, interprete la cui compostezza corporea poco lascia trasparire di un gesto sonoro invece così energico e brillante, maniacalmente preciso, come morbido e dolce nel timbro, quando Debussy lo richieda. O era Boulez? Ecco che, con una simbiosi degna di Don Giovanni e Leporello, i due si scambiano gli abiti per lo studio Pour les notes répétées e Incises, incastrato con un colpo di genio al centro delle sei pagine di Debussy, giocando sull’inganno di un’antistorica quanto probabilissima continuità, e aprendo così alle domande, troppo ingenue o troppo ardite, per esser pronunciate: cosa rimane di questo lungo Novecento, al di là del più solido agglomerato di teorie sulla costruzione formale della musica? Nell’omogeneità con cui ci appare un repertorio che si colloca, in gran parte, dopo la frattura con l’universo tonale, quali differenze hanno rapito il nostro ascolto? Forse quella tra il Pierre Boulez della Sonata n. 3 che nel tentativo di uscire dalla gabbia della partitura rimane comunque imprigionato in quella del dogma ideologico e l’Olivier Messiaen dei Petites esquisses d’oiseaux, il cui apparente didascalismo è invece capace di farsi tramite estetico tra l’uomo e la natura.
Interpreti: Jan Michiels, pianoforte
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