Un "Eugenio Onegin" come se ne facevano una volta
Un Eugenio Onegin del Bolshoi apre la nuova stagione dell'Opéra national de Paris.
Recensione
classica
Parla russo l'Opéra national de Paris per l'inaugurazione della nuova stagione. Tutto il Bolshoi si è trasferito per l'occasione al Palais Garnier: i solisti, ma anche il coro e l'orchestra e i macchinisti. E russi sono pure il direttore d'orchestra (Alexander Vedernikov) e il regista (Dmitri Tcherniakov).
E sin dalle prime battute, la sfasatura si vede e si sente. Rispetto a quello che Parigi propone di solito, sembra essere tornati indietro per scelte estetiche e stilistiche.
Il regista Tcherniakov ambienta l'azione in una Russia di fine Ottocento. La scena è quasi fissa: il salone di Làrina per i primi due atti, diventa quello della casa del principe Gremin nel terzo atto. A cambiare per tutti i primi due atti è solo la lunga tavola: ora imbandita, ora sguarnita. Il risultato è monotono, senza riuscire ad essere essenziale. Pure il duello si svolge nel salone. E siccome non si fa di spararsi in casa, Lenski muore per accidente in una scena di colluttazione con Onegin. Alla barba del rituale ieratico di un duello drammaturgicamente funzionale. Per altro, il palcoscenico è costantemente affollato: solo Tatiana riesce a stare sola per la stesura della lettera. Altrimenti, tutti si agitano sin dall'ouverture. Probabilmente, l'idea registica è quella di contrapporre i drammi di alcuni eroi all'indifferenza della società. Ma spesso ne consegue un caos fastidioso.
L’orchestra regala momenti magici nelle sezioni espressive. Ma pasticcia le altre. Le voci dei secondi ruoli sono tremolanti e stilisticamente sorpassate. Neanche Tatiana Monogarova (Tatiana), pur solida, eccelle. Invece, gli interpreti maschili salvano lo spettacolo. Bravissimo il giovane baritono polacco Mariusz Kotscherga nel ruolo eponimo. Ma la vera rivelazione è il Lenski di Andrey Dunaev che mai forza.
Regia: Dmitri Tcherniakov
Direttore: Alexander Vedernikov
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