Un Don Pasquale troppo cinematografico
Scala: Donizetti con la regia di Livermore e l'ottima direzione di Pidò
La ripresa del Don Pasquale, allestito da Davide Livermore nel 2018 (direzione Riccardo Chailly), vede ora sul podio scaligero Evelino Pidò, grande specialista del repertorio belcantistico. Ma di fatto è una ripresa sui generis perché gli unici cantanti del cast originario sono Ambrogio Maestri (Don Pasquale) e Mattia Olivieri (Malatesta) e buona parte dell'organico orchestrale è cambiato. Lo spettacolo (già recensito all'epoca sul GdM) pone sempre gli stessi problemi per gli eccessi di controscene, di un'ingombrante ambientazione in una Cinecittà Anni Sessanta con tanto di Flaminia coupé dal Sorpasso di Dino Risi. Fuori misura in particolare la sfilata di modelle coi cartelli "semplicetta", "fiera", "mesta", offerte da Norina, che qui ha una sartoria, come esempi di comportamento per la nuova sposina. Come pure la presenza delle nuvolaglie tempestose sul fondale o le sequenze di Roma vista dall'altro. Tutte divagazioni che gravano sull'intreccio esile, che meriterebbe una maggiore leggerezza. Ben riuscita rimane comunque la presenza della madre del protagonista che lo vorrebbe eterno scapolo: evocata al suo funerale durante l'ouverture (approfittando del mesto tema di Ernesto), poi fantasma durante l'opera e trionfante durante lo smacco finale del suo bambinone.
Come sempre Maestri dà prova di grande esperienza ed eleganza nei panni di don Pasquale, la sua presenza in scena è una garanzia, anche se in qualche momento, specie nei recitativi, la voce non è in grado di arrivare piena in sala; Olivieri è un dottor Malatesta spigliato, forse con un eccesso di ammiccamenti che talvolta rischiano di ridurlo a guitto; non del tutto convincente è invece risultato Lawrence Brownlee, tenore ben impostato ma con un'emissione adatta a un teatro più piccolo. La Scala non perdona. Mentre Andrea Carroll non dispone né della duttilità né della coloratura necessarie a Norina. Comunque duetti, terzetti, quartetti, sono sempre risultati ben equilibrati, grazie al controllo ferreo di Pidò. Il direttore, nonostante la regia confusa, ha sempre dato l'impressione di una visione unitaria dell'opera, con slanci sorvegliatissimi, pause che risultano ora pensose, ora veri sberleffi. Un esempio per tutti, con la complicità dell'ottimo coro scaligero diretto da Alberto Malazzi, durante il coro del "nipotino guastamestieri", che è risultato il momento più comico e lieve di tutta la serata.
Applausi per tutti a fine spettacolo, con Maestri che è apparso per primo a sipario chiuso, dopo di che tutta la compagnia in gruppo.
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