Un cupo Don Carlo
Al Comunale di Bologna un nuovo allestimento di Brockhaus diretto da Mariotti
Don Carlo di Verdi è un’opera dai numerosi sottotesti politici e i cui personaggi hanno un’emotività controversa, ma quella di Henning Brockhaus per il Teatro Comunale di Bologna è una nuova produzione con un’impostazione registica che punta maggiormente sull’evocazione rispetto che ad una vera e propria esegesi. Gli interni monocromatici e scuri richiamano un’atmosfera cupa, suggeriscono magnificenza, e allo stesso tempo come macigni sovrastano i personaggi, quasi metafora della necessaria sottomissione delle ragioni dei loro cuori alla ragion di Stato. Le luci sono sempre fredde, le scenografie imponenti (di Nicola Rubertelli), e solo la foggia dei costumi – poco curati, di Giancarlo Colis – ricolloca vagamente l’azione intorno agli anni ’30 del Novecento, pur non avendo questa scelta ricadute rilevanti ai fini dell’evidenziazione dei contenuti del libretto.
Il regista usa le masse per creare coreografie (di Valentina Escobar) e quadri scenici esteticamente piacevoli, ma sembra non curarsi della delineazione attoriale di protagonisti e comprimari, lasciandola alle iniziative dei singoli, con risultati più o meno convincenti a seconda dei casi.
Le interpretazioni vocali del cast non deludono – Roberto Aronica (Don Carlo), Dmitry Beloselsky (Filippo II), Luiz-Ottavio Faria (Il Grande Inquisitore), Luca Tittoto (Un frate) –, soprattutto quelle delle carismatiche Veronica Simeoni (Principessa Eboli) e Maria José Siri (Elisabetta di Valois); il più apprezzato è Luca Salsi nei panni di Rodrigo, unico a dare una vera caratterizzazione, sia vocale, sia attoriale. Michele Mariotti è accolto con grande calore dalla Sala Bibiena, e la sua direzione, dopo qualche esitazione iniziale, si rivela salda e tenace, tanto che le prestazioni musicali suppliscono risolutamente alle imperfezioni di una regia efficace nella suggestione ambientale, ma innocua nello scandagliare le più profonde sfaccettature della trama.
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