Un buon ritorno alla Scala per “La forza del destino”
Apprezzate le prove di Chailly, Netrebko, Tézier e del coro, interessante ma ripetitiva la regia di Muscato
L'ultima apparizione della Forza del destino alla Scala è stata nel 2001, con Gergiev sul podio e l'organico del Marinskij, ma nella prima edizione di San Pietroburgo col protagonista che si suicida invocando il demonio e maledicendo l'umanità. Ovvio che per l'inaugurazione della stagione scaligera sia andata in scena la definitiva versione del 1869, scritta per il teatro milanese con la nuova ouverture, la Ronda, il terzetto finale e le anime degli innamorati che si congiungeranno in cielo. Per la cronaca, erano presenti nel palco centrale il presidente del senato La Russa, la senatrice Segre, il ministro della cultura Giuli, il sindaco Sala. Assente il presidente della repubblica Mattarella, a Parigi per i festeggiamenti di Notre Dame restaurata. E dopo il rituale Inno di Mameli, un grido dal loggione di "Viva Sant'Agata", che non è un'invocazione a una santa protettiva, ma un ottativo per la tenuta di Verdi acquistata dallo Stato e abbandonata al degrado.
Per tirare subito le somme, un più che buono 7 dicembre, soprattutto per merito di Riccardo Chailly, di Anna Netrebko (Leonora), di Ludovic Tézier (Carlo) e del coro di Alberto Malazzi. Chailly ha diretto con estrema precisione, con fervore senza mai incorrere in effetti roboanti, che hanno fatto il loro tempo, e con una straordinaria attenzione al colore del suono. Il suo è un Verdi che guarda al futuro, il Novecento è alle porte. I due pezzi sinfonici ne sono stati un esempio: l'ouverture (per fortuna a sipario chiuso) e il concerto per clarinetto che funge da preludio del terzo atto. Come pure certi passaggi meno appariscenti, per esempio l'affanno dell'orchestra, dopo che nel terzo atto i due "amici" sono richiamati sul campo di battaglia, un momento che ricorda Traviata quando si gioca d'azzardo a casa di Flora. Protagonista della serata è stata senza dubbio Netrebko, una Leonora ideale per voce e presenza scenica; le arie "Madre pietosa vergine" del secondo atto o "Pace pace" del quarto sono state esemplari. Alla pari di lei Ludovic Tézier, un perfetto don Carlo dalla voce calda e vigorosa, appassionato e crudele al punto giusto. La sua "Urna fatal" è da manuale. Meno convincente Brian Jagde nei panni di Alvaro, che fa troppo spesso il tenore e quando il volume sale la voce talvolta perde di compostezza. Di ottimo livello il Padre Guardiano di Alexander Vinogradov e il Fra Melitone di Marco Filippo Romano, che rispetta la tradizione del baritono buffo. Spiritosa la Preziosilla di Vasilisa Berzhanskaya.
La regia di Leo Muscato ha privilegiato il tema della guerra, eliminando il mondo contadino dalle scene corali; tutti portano la divisa militare, anche se di epoche diverse (il Settecento originario della vicenda, il primo conflitto mondiale, le rovine provocate dagli scontri attuali). Una scelta più che giustificata, vista la situazione del pianeta, e facilitata dalla passerella ruotante inventata da Federica Parolini che consente un viaggio nel tempo senza soluzione di continuità. Di grande effetto il tableau vivant coi soldati immobili come statuine sulla collina che prendono vita quando Leonora toglie il chepì a uno di loro e se lo mette in testa, un riuscito gioco di teatro nel teatro. Ma l'impostazione generale alla fine risulta ripetitiva, né bastano i costumi disegnati da Silvia Aymonino a ravvivarla. Nel finale, invece della cristiana rassegnazione indicata da Verdi Muscato suggerisce un briciolo di speranza per l'umanità, perché durante il pianissimo evanescente dei violini viene illuminato un tronco d'albero massacrato dalle bombe che però ha germogliato.
A fine serata grandi applausi per tutti, con qualche limitato buu per Anna Netrebko, non si capisce se perché è russa, se perché è simpatizzante di Putin, comunque del tutto ingiustificati e francamente stupidi.
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