Tutto Berio dalla A alla Ronne

Denso, stimolante a di alta qualità il focus dedicato dalla Chigiana al ventennale del compositore

Radicondoli, Pieve Vecchia della Madonna (Foto Roberto Testi)
Radicondoli, Pieve Vecchia della Madonna (Foto Roberto Testi)
Recensione
classica
Accademia Musicale Chigiana, Chigiana International Festival 2023 ‘Parola’
Focus Berio
17 Luglio 2023 - 21 Luglio 2023

Da alcuni anni il festival estivo dell’Accademia Chigiana ha profondamente cambiato pelle: non più una ‘settimana’ di punta entro un più lungo cartellone, bensì un palinsesto certo assai esteso (due mesi) e variegato, ma tenuto assieme da alcuni fil-rouge, il più significativo dei quali dedicato a un focus sulla composizione degli ultimi decenni. Il grande merito di tale nuova impostazione va alla direzione artistica di Nicola Sani (e del suo affiatato staff), che ha saputo stimolare la complicità dei tanti e straordinari docenti dei paralleli corsi di perfezionamento soprattutto nella direzione del focus, in alcuni casi propiziando la nascita e il raffinarsi di specifici ensemble (ad es. il Coro ‘Chigi Saracini’ della Cattedrale, ormai totalmente padrone delle scritture musicali novecentesche).

Quest’anno il focus è stato dedicato, nel 20° della scomparsa, a Luciano Berio: l’ampia diffusione nel repertorio di musicisti di vaglia di molti suoi capolavori ha forse reso meno arduo tessere quel filo rosso, ma la sistematicità e la densità della programmazione beriana sono state notevoli – in progettazione ed esecuzione – e meritorie, considerato il generale ritrarsi nell’intrattenimento da parte dei festival estivi o, nelle migliori, il ricorrere al repertorio più classico da parte di quelli poco più avveduti. La settimana più intensa intorno al focus è stata segnata perciò, nelle prove dei magnifici esecutori, da una triade valevole per tutto il resto del festival: generosità, altissima qualità, duttilità. Sono le caratteristiche già ravvisate nel concerto Gringolts-Gerzenberg  e già apparse nel ‘recital esteso’ della violista Tabea Zimmermann, col suo giovane collega Sào Soulez Larivière e col percussionista Antonio Caggiano: quasi due ore di musica impegnativa, peraltro in condizioni climatiche complicate, muovendo da alcuni capisaldi della produzione solistica di inizio secolo (una Suite di Reger e una Sonata di Hindemith), passando per lavori più recenti (la Sonata di Ligeti, che rilegge alcuni elementi della radice bartókiana del compositore alla luce però delle complessità di pensiero intanto attraversate nel periodo post-seriale, e il bel Viola viola di George Benjamin, lavoro di rilievo per la capacità di rinnovare la relazione a specchio imperfetto tra gli strumenti e di sviluppare un sound quasi sinfonico), chiudendo coi due titoli di Berio, l’intensa Sequenza VI (granitico quanto aggressivo Larivière) e l’ingegnoso Naturale, che nasconde nella pannellatura tra viola e registrazioni di canti siciliani – le percussioni a mediare – una sottile rete di rapporti. Ove fosse necessario, la Zimmermann ha mostrato qualità di varietà d’intensità e di colori, plasticità di fraseggio, approfondimento dell’interpretazione (anche nel suo embodiment) veramente straordinari.

L’appuntamento centrale della settimana, e fra i centrali del focus – anche considerando il sottotitolo ‘Parola’ assegnato al festival – poteva considerarsi quello del 20 luglio, annoverante tra capisaldi legati alla verbo-vocalità di inizio anni ’60, e quindi alla fondamentale figura di Cathy Berberian, più un lavoro tardo – Altre voci – ma assai significativo per le procedure di live electronics che Berio ha testato nel contesto del Centro Tempo Reale. I due esecutori di Altre voci sono stati i sempre magistrali Monica Bacelli e Roberto Fabbriciani, bravissimi nel controllare le emissioni in modo da articolare morbidamente il labirinto delle texture da delay; la parte elettronica è stata curata da Alvise Vidolin e il suo staff di assistenti e allievi (responsabili anche dell’esecuzione elettroacustica di Visage), una nota proiettiva nel futuro per una forma di pensiero musicale che ha bisogno fatalmente dell’oralità per una sua piena trasmissione. Il resto del programma è stato eseguito da un ottimo mix di interpreti giovani e d’esperienza, cimentatosi in brani probanti quali il vertiginoso Circles, la gestuale-teatrale Sequenza III, il complesso Différences per cinque strumenti e nastro (una reazione in grande stile di pensiero all’allora montante ‘musica su due dimensioni’) e la Sequenza II per arpa, importante per i compiuti annunci della tecnica per campi armonici. Due parole vanno spese non solo per lodare i magnifici interpreti, ma per sottolineare la preziosa quanto rara esperienza di ascolto dal vivo di Circles e Différences, opere in il pensiero musicale risiede anche e soprattutto nelle componente spaziali della concezione, e quindi della performance.

Di speciale valore, infine, il concerto del Coro ‘Guido Chigi Saracini’ della Cattedrale di Siena diretto da Lorenzo Donati, tenutosi nello spiazzo antistante la Pieve della Madonna vecchia a Radicondoli, nel cui cimitero all’aperto è sepolto Luciano Berio. Il lavorìo profondo sulla ‘phoné’ quale sintesi multiplanare di suono voco-verbale e senso, di materiale acustico puro e sfere del significativo/espressivo, non è passato solo dal dedalico A-Ronne, reticolare affresco della voce mediata dal microfono, in cui inizio centro e fine sono immagini di un unico rizoma, o dal più compatto Canticum… eseguito per la prima volta in una nuova postuma edizione critica, ma pure dalle premesse in Monteverdi. Il Coro e la sua guida sono stati bravissimi nel modulare l’interpretazione – anche nell’impianto dello spazio sonoro – e nel cavare colori magnifici, nonostante la situazione acustica non ottimale. Ma era sacrosanto poter far musica lì, e lì donare al Maestro quale bis programmato la deliziosa bagatella corale di E si fussi pisci.

Concerti sempre assai seguiti ed entusiasticamente applauditi. Il focus Berio nel festival prosegue, con ritmi più distesi, fino a fine agosto 

 

 

 

 

 

 

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