Tutti i colori del Trittico
Regio di Torino: Puccini con la direzione di Steinberg e la regia di Kratzer
La stagione 2023/2024 del Teatro Regio di Torino è arrivata al suo titolo finale, Il trittico di Giacomo Puccini, con la direzione di Pinchas Steinberg e la regia di Tobias Kratzer. Poiché è opinione attestata che i tre atti unici che lo compongono – Il tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi – siano uno più bello dell’altro, abbiamo tentato un esperimento sociale.
Abbiamo portato al Regio tre amici che asserivano di preferire rispettivamente Il tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi. «Il tabarro ti afferra per gola» diceva il primo, «Sì, ma Suor Angelica ha una musica incredibile» aggiungeva il secondo, «Sì, ma Gianni Schicchi è la commedia perfetta, l’ha detto anche Woody Allen» chiosava il terzo. In questo modo abbiamo potuto avere tre sguardi distinti sull’interpretazione delle tre opere.
Ne è emerso che l’esecuzione distribuiva equamente meriti e demeriti. Il tabarriano elogiava il valzer («Ballo con la padrona!»), secondo lui mai stato così spettrale e «berghiano» come sotto la direzione di Steinberg. Il suorangelicano ribatteva che Steinberg dava invece il meglio di sé nell’assecondare sussurri e grida dell’orchestrazione di Suor Angelica, e menzionava il momento della Lode alla Vergine come il punto in cui ha trattenuto il fiato ma non le lagrime. Lo schicchiano bofonchiava che forse la direzione era poco incisiva nella sua opera beniamina, ma che l’opera in sé è un tale capolavoro perfetto che manco se n’era accorto.
«Però la compagnia di canto dello Schicchi era la meglio assortita» aggiungeva gongolando, consapevole che né il tabarriano (che aveva dalla sua un ottimo Roberto Frontali come Michele ma una incolore Elena Stikhina come Giorgetta) né il suorangelicano (che aveva una incolore Anna Maria Chiuri come Zia Principessa ma una grande Elena Stikhina – sempre lei – come Angelica, in grado di arrivare alla verità del personaggio con lo scavo dell’interpretazione) avrebbero potuto ribattere. A quel punto il suorangelicano, barando, lodava l’ottima prestazione del Coro del Regio, che aveva una parte rilevante solo nella sua opera del cuore.
Sulla regia tutti avevano da ridire. «Perché il sipario si apre su scatole di metallo mentre la musica mi evoca l’acqua della Senna?» sospirava il tabarriano, «Perché mi proietti su un megaschermo i dolori di una giovane suora bulimica se la drammaturgia è tutta costruita sul non detto e il non mostrato?» pigolava il suorangelicano, «A cosa diamine serve mettere il pubblico in scena se non a rovinare con un effetto inutile una commedia che – non so se l’ho già detto – è perfetta così com’è?» chiocciava lo schicchiano.
Certo, qualche pregio la regia ce l’aveva, ma bilanciato da altri difetti. «La Zia Principessa che inforca gli occhiali scuri quando Angelica le chiede “È morto?” è un piccolo dettaglio di recitazione che rende con estrema economia di mezzi il baratro tra i due personaggi, l’indifferenza del primo di fronte al dolore del secondo» notava commosso il suorangelicano. «La drammaturgia dello Schicchi richiede però che Spinelloccio bussi alla porta di Buoso proprio nel momento in cui i parenti hanno tra le mani il morto che si stanno affaccendando a nascondere: se invece l’hanno già sistemato, come accade in questa regia, si perde l’attimo di tensione comica» performava stizzito lo schicchiano.
Il regista Kratzer, che crede nella concezione unitaria del Trittico, ha legato le tre opere con fantasiosi rimandi scenici. I tre amici (che potrebbero non esistere, potrebbero essere lati della personalità del recensore, ma non perdiamoci in sofisticazioni) si sono trovati d’accordo su un punto: che le tre opere si completano a vicenda da sole, senza bisogno di ulteriori interventi registico-drammaturgici. Sarà pure un vieto luogo comune, ma davvero andrebbero eseguite sempre insieme, o quantomeno non accoppiate con altre cose (come purtroppo si usa fare, producendo immancabilmente accoppiamenti non giudiziosi). Non tanto per l’idea del percorso dal buio alla luce (che poi, a ben guardare, l’umorismo di Gianni Schicchi è nero come le acque della Senna: semmai il punto di luce è Suor Angelica, anche musicalmente), ma per il gioco di equilibri interni. Insieme sono forse la più bella opera di Puccini.
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