In trincea al Medimex
Il bilancio della terza edizione della fiera di Puglia Sounds
Recensione
oltre
“L'industria musicale è una trincea crudele e superficiale rivestita di denaro - un lungo corridoio di plastica dove ladri e papponi scorrazzano liberi, e gli uomini giusti muoiono come cani.
C'è anche un lato negativo”.
La citatissima frase di Hunter Thompson è ancora valida? In buona parte sospetto di sì, eccetto naturalmente per la parte sul denaro (il che naturalmente riduce di molto l'appeal del "lato positivo" dell’industria della musica). L'idea della "trincea", invece, sembra essere di grande attualità.
Eventi come il Medimex, che ha terminato a Bari la sua terza edizione domenica scorsa dopo tre giorni di showcase, eventi, conferenze e incontri per professionali e non, sono piuttosto utili per contemplare le condizioni dell'industria musicale in Italia. Gli ottimisti, ad esempio, vedranno tante idee, tanta voglia di fare, qualche coraggioso operatore giovane che si passa la giornata in fiera a incontrare gente, e la sera agli showcase ad ascoltare nuove proposte, in una disperata ricerca di soluzioni alternative e canali diversi. La fiera stessa, per come è concepita, è essa stessa parte di queste nuove idee per far ripartire la nostra industria musicale, intendendo la Puglia come "sala macchine" della cultura in Italia.
Dal canto loro, i pessimisti hanno ancora buone ragioni per essere tali, e constatare come in buona parte le "leve" del settore siano sempre mosse dagli stessi operatori, inguaribili figli di un'altra epoca. Che non è solo la ormai mitologica "epoca in cui i dischi si vendevano ancora", ma - in una prospettiva storica - l'unica era della storia della musica in cui i dischi sono esistiti e sono stati prodotti e venduti in un certo modo.
Sempre i pessimisti potranno annotare come le buone idee e i canali alternativi, i tentativi di "fare rete" (parola d'ordine ormai di tutti i panel e le conferenze) e di "sostenere la musica" stiano in realtà proliferando in uno spazio di mercato troppo stretto, e sempre più limitato da paletti profondi e difficilmente sradicabili: l'interesse del pubblico, prima di tutto; le sue oggettive possibilità economiche, in seconda battuta. Lo spazio disponibile è davvero troppo poco per tutta la musica che può essere prodotta oggi; la speranza è che le citate "buone idee" siano un cuneo per "rompere" e ricostruire su altre basi, e non una stampella per sostenere e prolungare l'agonia di un modo di controllare il mercato ormai fuori tempo massimo.
Il Medimex, si diceva, è bel palcoscenico per tutto questo, e non c'è neanche bisogno di essere ottimisti per ammettere che passi sono stati fatti, e che la fiera pugliese - a dispetto di oggettive difficoltà logistiche e organizzative (una delle lamentele più frequenti è che Bari non è proprio al centro del mondo...) - è il posto dove stare, se si lavora e si ambisce a lavorare in questo settore.
Se il giudizio nel complesso non può che essere positivo per quanto il Medimex e Puglia Sounds hanno fatto e cercato di fare in questi tre anni, qualche annotazione critica, in particolare in merito ad alcune scelte dell'edizione 2013, è lecito sollevarla. Se una cosa è mancata, in alcuni momenti della programmazione almeno, si tratta di una linea chiara seguita con fedeltà anno dopo anno, per far radicare maggiormente una idea di fiera, prima che un contenitore, e fidelizzare pubblico locale e operatori internazionali. In sé, l'idea di non limitarsi a un solo genere ma di tenere insieme la world music, il rock indipendente, la canzone d’autore e dintorni, è tutto fuorché sbagliata. La programmazione degli showcase serali è stata coraggiosa, seppur con qualche delusione artistica (ne do conto dopo). Ma il pubblico ha premiato solo in parte il variegato cartellone, mentre ha affollato - come mai in passato - gli incontri pomeridiani, dedicati a nomi decisamente più mainstream: Pino Daniele, Baglioni, Fedez, Francesco De Gregori, e altri. Una scelta vincente per l’affluenza: tredicimila le presenze complessive, con un incremento del 30% rispetto allo scorso anno sono i dati dichiarati. Ma una scelta che - mi sembra - crea una doppia linea interna alla programmazione del Medimex che dovrebbe essere, auspicabilmente, armonizzata in futuro. È un peccato, cioè, che tutto il pubblico accorso per Fedez e compagnia non sia rimasto per ascoltare le proposte musicali della sera.
Una maggiore mescolanza delle due linee - se si vuole restare fedeli ad entrambe - potrebbe essere una buona idea. La fama acquisita delle poche "popstar" italiane potrebbe così fungere da volano e vetrina per una “coda” dell’industria musicale sempre più lunga e sempre più in difficoltà.
Per quanto riguarda gli showcase serali, qualche delusione, qualche conferma e qualche scoperta. La prima sera - venerdì - è filata via senza particolari emozioni: conferme da Bandadriatica e Bobo Rondelli (pur non apparso in grande spolvero, e venuto fuori solo alla fine dei limitanti 40 minuti concessi). L'Orchestrino cuce intorno alle canzoni del livornese arrangiamenti davvero pregevoli, capaci di "spostare" il baricentro della canzone "d'autore" di Rondelli - in sé di alta qualità ma non certo innovativa, per i canoni del genere - verso altri e più originali vette.
Interessante la proposta dei salentini Crifiu, testata infine dal vivo: la loro è una via salentina ad un etno-pop d'impatto, orecchiabile e "spettacolare". Un percorso poco battuto da quel che resta delle case discografiche italiane, ma che probabilmente permetterebbe - se valorizzato - a gruppi come Crifiu di ritagliarsi un ampio seguito popolare, se avessero accesso ai canali giusti.
Delude invece Smadj, nuovo progetto del franco-tunisino Jean-Pierre Smadja (già DuOud). Musicista di grande valore, virtuoso dell'oud elettrico, con la formazione presentata a Bari (protagonista anche di un disco intitolato Fuck the DJ) propone una musica troppo sfocata, con un mc, un sax, e ritmi elettronici - oltre allo oud - ma senza né riuscire a scaldare la temperatura, né a sconfinare in quel terreno piacevolmente "tamarro" a cui ci aveva abituato. La serata si chiude con i tedeschi Blackmail: energico rock e massimalismo chitarristico come si faceva alla fine degli anni Novanta. E pochi altri spunti.
Decisamente più interessante la seconda serata, quella di sabato, che si apre con il progetto elettronico della cantante portoghese Maria João, Ogre. Sebbene la João ci tenga spesso a far capire al pubblico di avere ricevuto in dono - e raffinato negli anni - una voce davvero notevole, ed esageri con le sbrodolature e i virtuosismi tipici di quel territorio ibrido fra il jazz e l'avanguardia, la musica e le soluzioni di arrangiamento sono varie e mai scontate, fra archi elettronici, glitch, effetti, piano elettrico. La João canta in varie lingue (compreso un surreale brano in giapponese), sfruttando al meglio le specificità foniche dei diversi idiomi a fini espressivi. L'effetto è un po' quello di una Björk - soprattutto per quel tono "da bambina" che la João spesso cerca – virata con gusto globalista.
Buona parte del pubblico attende però ben altra diva: Imany, cantante franco-comoriana, ex modella, giunta di recente al successo grazie ad un singolo accattivante. Spalleggiata da una nutrita band di turnisti scafati, supportata da arrangiamenti raffinati e "adult oriented", Imany lascia però moltissimi dubbi circa lo spessore del suo progetto artistico. Poco il carisma - nonostante l'innegabile fascino e la bella voce - e poche le idee. Una sorta di Tracy Chapman - o Anouk - post litteram, per un mercato del pop etnicamente corretto. Una cover di "Bohemian Rapsody" in scaletta conferma le ambizioni dell’impresa.
Per fortuna i delusi dal palco principale hanno in sorte l’incontro con una delle sorprese dell'anno: i romani Luminal, ora di diritto da annoverare fra le migliori band dal vivo in Italia. La base di partenza è quella di un indie rock grezzo, sconvolto e scombinato, condotto dai soli basso (distorto) e batteria, con testi ora surreali ora spietatamente critici e autocritici. L'attitudine è punk, il carisma sul palco è tanto, i pezzi si fanno ricordare. Da tenere d'occhio, come si dice.
Altra proposta di grande qualità è quella dei marsigliesi Temenik Elektric, giunti da Marsiglia in pullmann poche ore prima del concerto per un problema con il volo. Il loro arab-rock un po' elettronico, con sound anni Novanta (per intenderci, area rock-rave, con qualcosa dei primi Stone Roses), coinvolge ed evita i facili cliché che le versioni "arab" dei vari generi sono soliti frequentare.
Dessert domenicale dopo l’abbuffata di venerdì e sabato con Riccardo Tesi e la sua Banditaliana, estesa per l’occasione (la presentazione del nuovo progetto Tuscan Landscapes) a sestetto, con il violino di Gabriele Savarese e il contrabbasso di Mirco Capecchi. Cosa dire che non sia già stato detto? Banditaliana è il gruppo simbolo di un modo di intendere la world music in Italia, e allo stesso tempo il suo vertice creativo, con una qualità dal vivo, prima di tutto, che solo progetti e formazioni stabili così a lungo termine possono garantire. Le cose nuove ascoltate suggeriscono una conferma dell’interesse per le musiche di mondi lontani (suggestioni africane, in particolare) e per il progressive rock, con stacchi quasi-rock, anche più energici di quanto ci si aspetterebbe.
C'è anche un lato negativo”.
La citatissima frase di Hunter Thompson è ancora valida? In buona parte sospetto di sì, eccetto naturalmente per la parte sul denaro (il che naturalmente riduce di molto l'appeal del "lato positivo" dell’industria della musica). L'idea della "trincea", invece, sembra essere di grande attualità.
Eventi come il Medimex, che ha terminato a Bari la sua terza edizione domenica scorsa dopo tre giorni di showcase, eventi, conferenze e incontri per professionali e non, sono piuttosto utili per contemplare le condizioni dell'industria musicale in Italia. Gli ottimisti, ad esempio, vedranno tante idee, tanta voglia di fare, qualche coraggioso operatore giovane che si passa la giornata in fiera a incontrare gente, e la sera agli showcase ad ascoltare nuove proposte, in una disperata ricerca di soluzioni alternative e canali diversi. La fiera stessa, per come è concepita, è essa stessa parte di queste nuove idee per far ripartire la nostra industria musicale, intendendo la Puglia come "sala macchine" della cultura in Italia.
Dal canto loro, i pessimisti hanno ancora buone ragioni per essere tali, e constatare come in buona parte le "leve" del settore siano sempre mosse dagli stessi operatori, inguaribili figli di un'altra epoca. Che non è solo la ormai mitologica "epoca in cui i dischi si vendevano ancora", ma - in una prospettiva storica - l'unica era della storia della musica in cui i dischi sono esistiti e sono stati prodotti e venduti in un certo modo.
Sempre i pessimisti potranno annotare come le buone idee e i canali alternativi, i tentativi di "fare rete" (parola d'ordine ormai di tutti i panel e le conferenze) e di "sostenere la musica" stiano in realtà proliferando in uno spazio di mercato troppo stretto, e sempre più limitato da paletti profondi e difficilmente sradicabili: l'interesse del pubblico, prima di tutto; le sue oggettive possibilità economiche, in seconda battuta. Lo spazio disponibile è davvero troppo poco per tutta la musica che può essere prodotta oggi; la speranza è che le citate "buone idee" siano un cuneo per "rompere" e ricostruire su altre basi, e non una stampella per sostenere e prolungare l'agonia di un modo di controllare il mercato ormai fuori tempo massimo.
Il Medimex, si diceva, è bel palcoscenico per tutto questo, e non c'è neanche bisogno di essere ottimisti per ammettere che passi sono stati fatti, e che la fiera pugliese - a dispetto di oggettive difficoltà logistiche e organizzative (una delle lamentele più frequenti è che Bari non è proprio al centro del mondo...) - è il posto dove stare, se si lavora e si ambisce a lavorare in questo settore.
Se il giudizio nel complesso non può che essere positivo per quanto il Medimex e Puglia Sounds hanno fatto e cercato di fare in questi tre anni, qualche annotazione critica, in particolare in merito ad alcune scelte dell'edizione 2013, è lecito sollevarla. Se una cosa è mancata, in alcuni momenti della programmazione almeno, si tratta di una linea chiara seguita con fedeltà anno dopo anno, per far radicare maggiormente una idea di fiera, prima che un contenitore, e fidelizzare pubblico locale e operatori internazionali. In sé, l'idea di non limitarsi a un solo genere ma di tenere insieme la world music, il rock indipendente, la canzone d’autore e dintorni, è tutto fuorché sbagliata. La programmazione degli showcase serali è stata coraggiosa, seppur con qualche delusione artistica (ne do conto dopo). Ma il pubblico ha premiato solo in parte il variegato cartellone, mentre ha affollato - come mai in passato - gli incontri pomeridiani, dedicati a nomi decisamente più mainstream: Pino Daniele, Baglioni, Fedez, Francesco De Gregori, e altri. Una scelta vincente per l’affluenza: tredicimila le presenze complessive, con un incremento del 30% rispetto allo scorso anno sono i dati dichiarati. Ma una scelta che - mi sembra - crea una doppia linea interna alla programmazione del Medimex che dovrebbe essere, auspicabilmente, armonizzata in futuro. È un peccato, cioè, che tutto il pubblico accorso per Fedez e compagnia non sia rimasto per ascoltare le proposte musicali della sera.
Una maggiore mescolanza delle due linee - se si vuole restare fedeli ad entrambe - potrebbe essere una buona idea. La fama acquisita delle poche "popstar" italiane potrebbe così fungere da volano e vetrina per una “coda” dell’industria musicale sempre più lunga e sempre più in difficoltà.
Per quanto riguarda gli showcase serali, qualche delusione, qualche conferma e qualche scoperta. La prima sera - venerdì - è filata via senza particolari emozioni: conferme da Bandadriatica e Bobo Rondelli (pur non apparso in grande spolvero, e venuto fuori solo alla fine dei limitanti 40 minuti concessi). L'Orchestrino cuce intorno alle canzoni del livornese arrangiamenti davvero pregevoli, capaci di "spostare" il baricentro della canzone "d'autore" di Rondelli - in sé di alta qualità ma non certo innovativa, per i canoni del genere - verso altri e più originali vette.
Interessante la proposta dei salentini Crifiu, testata infine dal vivo: la loro è una via salentina ad un etno-pop d'impatto, orecchiabile e "spettacolare". Un percorso poco battuto da quel che resta delle case discografiche italiane, ma che probabilmente permetterebbe - se valorizzato - a gruppi come Crifiu di ritagliarsi un ampio seguito popolare, se avessero accesso ai canali giusti.
Delude invece Smadj, nuovo progetto del franco-tunisino Jean-Pierre Smadja (già DuOud). Musicista di grande valore, virtuoso dell'oud elettrico, con la formazione presentata a Bari (protagonista anche di un disco intitolato Fuck the DJ) propone una musica troppo sfocata, con un mc, un sax, e ritmi elettronici - oltre allo oud - ma senza né riuscire a scaldare la temperatura, né a sconfinare in quel terreno piacevolmente "tamarro" a cui ci aveva abituato. La serata si chiude con i tedeschi Blackmail: energico rock e massimalismo chitarristico come si faceva alla fine degli anni Novanta. E pochi altri spunti.
Decisamente più interessante la seconda serata, quella di sabato, che si apre con il progetto elettronico della cantante portoghese Maria João, Ogre. Sebbene la João ci tenga spesso a far capire al pubblico di avere ricevuto in dono - e raffinato negli anni - una voce davvero notevole, ed esageri con le sbrodolature e i virtuosismi tipici di quel territorio ibrido fra il jazz e l'avanguardia, la musica e le soluzioni di arrangiamento sono varie e mai scontate, fra archi elettronici, glitch, effetti, piano elettrico. La João canta in varie lingue (compreso un surreale brano in giapponese), sfruttando al meglio le specificità foniche dei diversi idiomi a fini espressivi. L'effetto è un po' quello di una Björk - soprattutto per quel tono "da bambina" che la João spesso cerca – virata con gusto globalista.
Buona parte del pubblico attende però ben altra diva: Imany, cantante franco-comoriana, ex modella, giunta di recente al successo grazie ad un singolo accattivante. Spalleggiata da una nutrita band di turnisti scafati, supportata da arrangiamenti raffinati e "adult oriented", Imany lascia però moltissimi dubbi circa lo spessore del suo progetto artistico. Poco il carisma - nonostante l'innegabile fascino e la bella voce - e poche le idee. Una sorta di Tracy Chapman - o Anouk - post litteram, per un mercato del pop etnicamente corretto. Una cover di "Bohemian Rapsody" in scaletta conferma le ambizioni dell’impresa.
Per fortuna i delusi dal palco principale hanno in sorte l’incontro con una delle sorprese dell'anno: i romani Luminal, ora di diritto da annoverare fra le migliori band dal vivo in Italia. La base di partenza è quella di un indie rock grezzo, sconvolto e scombinato, condotto dai soli basso (distorto) e batteria, con testi ora surreali ora spietatamente critici e autocritici. L'attitudine è punk, il carisma sul palco è tanto, i pezzi si fanno ricordare. Da tenere d'occhio, come si dice.
Altra proposta di grande qualità è quella dei marsigliesi Temenik Elektric, giunti da Marsiglia in pullmann poche ore prima del concerto per un problema con il volo. Il loro arab-rock un po' elettronico, con sound anni Novanta (per intenderci, area rock-rave, con qualcosa dei primi Stone Roses), coinvolge ed evita i facili cliché che le versioni "arab" dei vari generi sono soliti frequentare.
Dessert domenicale dopo l’abbuffata di venerdì e sabato con Riccardo Tesi e la sua Banditaliana, estesa per l’occasione (la presentazione del nuovo progetto Tuscan Landscapes) a sestetto, con il violino di Gabriele Savarese e il contrabbasso di Mirco Capecchi. Cosa dire che non sia già stato detto? Banditaliana è il gruppo simbolo di un modo di intendere la world music in Italia, e allo stesso tempo il suo vertice creativo, con una qualità dal vivo, prima di tutto, che solo progetti e formazioni stabili così a lungo termine possono garantire. Le cose nuove ascoltate suggeriscono una conferma dell’interesse per le musiche di mondi lontani (suggestioni africane, in particolare) e per il progressive rock, con stacchi quasi-rock, anche più energici di quanto ci si aspetterebbe.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
oltre
Le buone intenzioni della direzione artistica e l'impressione di un dialogo con gli altri mondi musicali rimasto incompleto
oltre
A Pesaro la prima nazionale della performance multimediale Kagami, di Ryuchi Sakamoto
oltre
Una sfida alle tradizionali divisioni per generi i nuovi spettacoli di Alessandro Sciarroni, Silvia Gribaudi e Anagoor a OperaEstate di Bassano del Grappa e la Medea secondo Ben Duke alla Biennale Danza