Tre grandi del Novecento storico

 

A Santa Cecilia Stravinskij, Hindemith e Rachmaninoff con Yamada e Kantorow

Yamada e l'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Yamada e l'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Recensione
classica
Roma, Parco della Musica, Sala Santa Cecilia
Kazuki Yamada e Alexandre Kantorow
20 Febbraio 2025 - 22 Febbraio 2025

Da qualche tempo il pubblico – almeno quello dell’Accademia di Santa Cecilia – dimostra di non temere più la musica moderna ma anzi di gradirla quanto e forse anche più di quella dei periodi classico e romantico. Ne dà una conferma la sala affollata e plaudente per questo concerto interamente dedicato alla musica “moderna”, come si continua a definire la musica del Novecento, anche se composta più o meno cent’anni fa. Erano in programma Petruška  di Igor Stravinskij (1911, revisione del 1947), Rapsodia su un tema di Paganini op. 43  di Sergej Rachmaninoff (1934) e Metamorfosi sinfoniche su temi di Weber  di Paul Hindemith (1944), tutte e tre scritte in America durante l’esilio americano dei rispettivi autori.

Li dirige - iniziando dal più recente tornando indietro nel tempo - Kazuki Yamada, quarantacinque anni d’età e un ottimo curriculum internazionale. Entra in sala salutando orchestra e pubblico in modo molto esuberante ed espansivo, che non corrisponde affatto all’idea che noi europei abbiamo dei giapponesi, e dà di slancio l’attacco delle Metamorfosi sinfoniche su temi di Weber.  Si è investiti da un suono possente, con tutti gli strumenti amalgamati a formare una massa sonora compatta e inestricabile, in cui sono irriconoscibili i timbri pungenti e anche aciduli ed aspri dei legni e degli ottoni (e si fatica perfino a sentire gli interventi delle percussioni), soverchiati dalla massa dei circa sessanta strumenti ad arco. Hindemith indica tre sole battute forte  e poi passa al mezzo forte,  invece per Yamada tutto è fortissimo, troppo forte. L’orchestrazione di questo pezzo è basata sulla polifonia di molteplici timbri, nitidi, vari e spesso contrastanti tra loro, che dovrebbero essere distintamente percepibili. Dove sono le “raffinate intuizioni di strumentazione” di cui giustamente scrive Luca Ciammarughi nel programma di sala? Vi lascio immaginare, solo per fare un esempio, che fine facciano i delicati trilli di flauti e oboi! E va perduta anche la vivacità ritmica.  

Il titolo del successivo movimento – Scherzo – induce Yamada a rendere un po’ più leggera e brillante la sua massiccia direzione orchestrale e così può emergere il colore cinese del tema di Carl Maria von Weber, tratto dalle sue musiche di scena per il dramma Turandot  di Schiller. E si può godere anche il ‘solo’ del trombone (l’ottimo Andrea Conti) che riprende il tema in chiave jazz: non per nulla Hindemith scrisse questo pezzo durante il suo esilio americano e la prima esecuzione avvenne a New York. Yamada ha diretto anche i successivi due movimenti in modo meno approssimativo del primo, ma comunque è andata sciupata l’occasione per riscoprire questa musica, che mancava nei concerti di Santa Cecilia del 1996 mentre prima vi figurava spesso ed era diventata la composizione di Hindemith più nota e più apprezzata dal pubblico. 

Yamada si trova invece a suo agio nell’orchestrazione densa e nelle ampie melodie di Rachmaninoff. Al pianoforte sta uno dei più completi pianisti della nuova generazione, il ventottenne francese Alexandre Kantorow, che diversamente da altri esponenti di questa nuova ondata di virtuosi del pianoforte non si affida esclusivamente alle sue dita precisissime e robuste ma vi unisce sensibilità, intelligenza ed eleganza, virtù rare e ormai desuete. Peccato che riproponga lo stesso pezzo che aveva già eseguito a Santa Cecilia nella scorsa stagione, avremmo preferito che questa volta si presentasse con qualcosa di diverso. Ma è stato comunque un piacere riascoltarlo, perché entrambe le volte lo ha suonato magnificamente. Nelle linee generali non si può che confermare quanto scritto un anno fa. Ma allora aveva come partner la Hong Kong Philharmonic e Jaap van Zveden, che avevano reso l’orchestra più leggera e trasparente e meno enfatica, cioè più novecentesca, mentre ora Yamada e l’orchestra romana danno a questa musica l’abituale dose di calore e turgore tardo romantici di Rachmaninoff, senza però cadere nell’esteriorità di un sentimentalismo e di una magniloquenza troppo caricati. Kantorow è perfetto: domina senza il minimo sforzo le grandi difficoltà tecniche e offre un suono controllatissimo, palpitante di una gamma sempre cangiante di colori e rifrazioni. E raggiunge il sublime nella diciottesima variazione, la cui delicata ma effusa cantabilità termina nella miracolosa coda del solo pianoforte, mentre l’orchestra tace come se si fosse fermata ad ascoltarlo ammirata e commossa. Come bis Kantorow sceglie (ci riferiamo alla replica di venerdì) Valse triste,  un semplice e piacevole brano del violinista ungherese Franz von Vecsey, nella brillante trascrizione di un altro virtuoso ungherese, il pianista György Cziffra.

Dopo essersi riscattato in Rachmaninoff dall’opaca prova offerta in Hindemith, Yamada si conferma direttore di qualità in Petruška.  Ricordiamo per inciso che Stravinskij finì di comporlo proprio a Roma nel 1911 e che a Roma giunse già nel 1915 diretto da Alfredo Casella e l’anno dopo da Arturo Toscanini; in seguito è tornato a Santa Cecilia più di quaranta volte, diretto anche da Stravinskij stesso nel 1951. Yamada inizia anche qui con dinamiche molto corpose, ma questa volta è attento a mantenere un giusto equilibrio per non soffocare gli strumentini e non appiattire questa partitura brulicante di colori vivaci e di ritmi agili e scattanti. A rendere a tratti entusiasmante questa bella esecuzione di un capolavoro della musica del Novecento danno un fondamentale contributo le magnifiche prime parti dell’orchestra, con il loro virtuosismo, i loro colori e il loro suono così pieno da emergere anche nei clamorosi fortissimo  cui Yamada talora indulge anche qui: il direttore le ringrazia una per una, invitandole ad alzarsi e a raccogliere la loro giusta dose di applausi. Meriterebbero tutte una menzione summa cum laude,  ma vogliamo citare almeno la tromba di Alfonso Gonzàlez Barquin e il corno di Alessio Allegrini, entrambi superlativi!   

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